Bauscia Cafè

Spinazzola Chronicles

E con questo, le visite mediche sono terminate. Grazie, Leonardo.
– Grazie a lei, dottore. Quindi ora… facciamo la foto?
– La foto?
– Quella con la sciarpa, ce l’ho pronta qua nello zaino. Anzi, se me la passa…
Il dottore guarda stranito il paziente.
– Leonardo, non è questo il momento di fare la foto.
– Ma come? A Roma si fa appena Sergione di Radio Lupacchiotto Sport dice che la trattativa è conclusa, e l’ha già detto ieri in trasmissione…
Il dottore sorride bonariamente.
– Mi dispiace, ma qui utilizziamo altri canali per comunicare l’ufficialità.
Leonardo rimane immobile sul lettino, spiazzato.
– E quindi… che si fa?
– Intanto rivestiti. Tra poco ti portano a fare un giro in sede.

Quando esce dallo studio medico, Leonardo è ancora scuro in volto. Ad attenderlo trova due uomini in completo nero, che lo conducono verso l’uscita. Prima di lasciare l’edificio, però, il terzino dice loro di aver bisogno di andare un attimo in bagno.

Leonardo percorre con circospezione il tragitto che lo separa dalle toilette. Si chiude dentro a chiave e digita nervosamente un numero sul telefono.
– Oh, eccomi… no, ancora niente, eppure Sergione era stato chiaro… non mi piace per niente sta storia. Senti, fai una cosa: mandami qualcuno, per sicurezza… qui c’è qualcosa di strano in ballo, me lo sento.

Un’ora dopo, in sede.

– Benvenuto Leonardo.
– Buonasera, direttore.
– Ho appena sentito il medico, mi ha detto delle visite.
– Bene. Tutto a posto, no?
– Seguimi, ti mostro una cosa.

Leonardo viene condotto attraverso un lungo e ampio corridoio, sui cui lati si trovano, a intervalli regolari, una serie di porte. Ognuna ha una targa che indica il nome della sezione a cui conduce. Ci sono le stanze dei trofei, quelle per le conferenze stampa, varie sale riunioni, eccetera. Leonardo, il direttore e i due uomini in completo percorrono un lungo tratto del corridoio, senza mai fermarsi. Continuano a camminare, mentre una certa ansia iniziare a montare nel terzino, a ogni passo di più.

– Dove stiamo andando?
– Beh, vedi…
Mentre il direttore parla, l’attenzione di Leonardo viene attirata altrove, e precisamente su una porta che appare diversa da tutte le altre. È stretta, non illuminata e, fatto ancora più insolito, non reca nessuna targa.
– Scusi se la interrompo.
– Sì?
– Ma quella… che stanza è? – chiede Leonardo, indicando la porta misteriosa.
Il direttore assume di colpo un’espressione severa.
Una stanza che non ti riguarda, in nessun modo. E che è bene non ti riguardi mai.

Dopo aver pronunciato queste parole, il direttore fissa duramente Leonardo Spinazzola, che non trova la forza per sostenere lo sguardo. Condividi il Tweet

Il gruppo riprende la sua avanzata, e il terzino si gira indietro più volte, cercando di scorgere qualche dettaglio della porta nascosta. Se ne è sentito immediatamente attratto, in maniera istintiva, senza riuscire a spiegarsi perché. E la reazione del direttore, così tranciante, non ha fatto altro che accrescere in lui una fremente curiosità, affiancata però anche da una sordida sensazione di disagio.

Continuando a camminare, immerso nei pensieri, Leonardo percorre una curva a gomito, ed insieme ai suoi accompagnatori si avvia verso una stanza, la cui porta è già aperta. Prima di entrare, il terzino si riscuote dal suo stato di riflessione e si ferma.
– Perdonatemi…
– Sì?
– C’è un bagno?
– Ma come, di nuovo? – risponde uno dei due uomini in completo.
– C’è già stato un’ora fa – aggiunge l’altro, rivolgendosi al direttore.
Il direttore scruta attentamente Leonardo, come a voler sondare le sue intenzioni.
– Gira l’angolo, terza porta a sinistra. Svelto, che iniziamo. Leonardo annuisce e si avvia verso il bagno.
– Devo seguirlo? – chiede uno dei due uomini.
– Non c’è bisogno. Non può andare da nessuna parte – risponde sicuro il direttore.

Leonardo si affretta a raggiungere la porta misteriosa, notando, con sollievo, che nessuno lo sta seguendo. In breve giunge a destinazione e si mette ad esaminarla. È perfettamente liscia, senza serratura, priva di maniglia. A destra, accanto all’infisso, nota un tastierino numerico. Leonardo preme alcuni tasti a caso e capisce che, per aprire la porta, serve inserire un codice di undici cifre.

– Merda.

Si guarda indietro. Non sono ancora venuti a cercarlo. Si rende conto che questo sarebbe il momento giusto per lasciar perdere i suoi propositi e tornare indietro, ma quella porta continua ad attrarlo senza che lui possa resisterle. Non può fare a meno di scoprire a cosa conduce.

Accanto al tastierino numerico c’è un lettore di impronte digitali. Leonardo, istintivamente, prova a metterci un dito sopra. Subito, sul display compare la scritta “riconoscimento in corso”. Leonardo torna a guardarsi indietro, con l’agitazione che sale di istante in istante. Ha la sensazione che se lo scoprissero potrebbe accadergli qualcosa di brutto. Non capisce perché, ma lì dentro ci dev’essere per forza…
Il flusso di pensieri viene interrotto da un suono proveniente dal lettore, che si illumina di verde.
– Riconoscimento avvenuto – afferma la voce elettronica.
Si sente il clic della porta che si sblocca. Spiazzato dalla facilità del tutto, Leonardo si fa coraggio ed entra.

La stanza è buia. Il terzino avanza a tentoni cercando un interruttore, che pare non esserci. Si affida allora alla torcia del cellulare, con la quale illumina l’ambiente immediatamente circostante. Vicino a sé vede diverse teche in vetro. Si avvicina alla prima e vi punta il fascio di luce all’interno. Ciò che vede richiede un po’ di tempo per essere identificato; si tratta di una folta parrucca di lunghi capelli neri, corredata da una irsuta barba nera.
In basso, alla base della teca, un nome: Felice Centofanti.

Leonardo non comprende. Chi sarebbe questo Centofanti? Prosegue verso un’altra teca, dove vede uno scarpino sinistro la cui punta è interamente conficcata dentro un pallone, presumibilmente nell’atto di calciare in maniera maldestra. Più in basso, il nome di Alessandro Pistone.

Leonardo continua a spostarsi fra le teche, senza riuscire a trovare una spiegazione a quanto sta vedendo. C’è lo stralcio di un’intervista in cui Mazzarri dichiara di vedere bene Jonathan da mezzala; un barattolo di prugne umeboshi rigettate da Nagatomo in un pomeriggio di febbraio; una foto di Alvaro Pereira in compagnia di Olindo e Rosa Bazzi. E poi un polpaccio di Montoya, uno stinco di Dodô e persino una compilation skills&passes di Dalbert al Nizza, fino ad arrivare ad un’immagine che fa trasalire Leonardo: una croce ribaltata dalla quale pende la zazzera bionda di Vrastislav Gresko.

Terribilmente confuso, Leonardo si guarda intorno alla ricerca dell’uscita. Nell’agitazione, il cellulare gli cade per terra; mentre lo cerca, andando a tastoni sul pavimento, sbatte un braccio contro un contenitore. Recuperata la luce, nota che si tratta di un’anfora, nello stile di quelle che si trovano nei musei greci. Dopo aver titubato per qualche istante, la apre, e al suo interno trova… delle ossa.

In quel momento, la porta della stanza si spalanca di colpo. Le luci si accendono, e Leonardo vede il direttore e i due scagnozzi che lo fissano sconvolti.
Ha aperto l’anfora con i resti di Vrsaljko! – esclama sconvolto uno dei due uomini in completo.
– Chiudila, chiudila subito, pazzo! Lo spirito potrebbe uscire! – gli urla l’altro.
Il direttore è completamente fuori di sé.
– Perché sei entrato? Chi ti ha aperto?
– Io… io ho…
– Io cosa? Ma non ti rendi conto che…
– Ho messo il dito sul sensore, e la porta si è aperta.
Il direttore sbianca.
– Tu hai aperto da solo quella porta?
– Sì.
Il direttore cade in ginocchio.
– Ma allora anche tu…
– Anche io cosa?
– Sei uno di loro! E lo eri già prima di arrivare qui!
– Ma insomma, di che sta parlando? Si può sapere che posto è questo?
Il direttore prende fiato, come se dovesse prepararsi a una scabrosa confessione.
– Questa è… la stanza dei terzini.
– …
– Qui teniamo i resti di tutti i disgraziati che hanno seminato l’orrore sulle fasce dell’Inter negli ultimi trent’anni.

La scioccante rivelazione congela il volto di Leonardo.

– Stiamo studiando il loro dna, ci risulta che abbiano tutti un gene in comune e che sia questo a renderli dei cessi inverecondi… l’obiettivo è riuscire a individuarlo, di modo da poterlo rilevare nelle visite mediche per risparmiarci ulteriori disastri e, un giorno, trovare anche una cura. Pensavamo di essere sulla buona strada, ma evidentemente abbiamo fallito.
– Come fallito? E perché?
– A questa stanza si accede solo digitando il codice fiscale di Handanovic, oppure tramite l’impronta digitale di un terzino che ha causato sciagure. Io, per esempio, uso un dito di Gilberto che tengo sempre a portata di mano.
Il direttore mostra il dito dell’ex terzino brasiliano, lasciando Leonardo senza fiato.
– Tu, però, sei entrato da solo. Il sistema non è progettato per funzionare con impronte che non siano già schedate. E questo può voler dire soltanto una cosa.
Il direttore fa un cenno ai due uomini in completo.
– E cioè?
– … che sei uno di loro.

I due uomini si avventano su Leonardo e, vincendo senza difficoltà la sua resistenza, lo colpiscono con un taser, fino a fargli perdere i sensi.
Il direttore si rialza, cercando di rassettarsi per quanto può.
– Chiamate il direttore – dice ai due scagnozzi.
– Ma signore, è lei il direttore.
– No, vi sbagliate. C’è qualcuno che è più direttore di me.

Quattro ore dopo

Leonardo riapre gli occhi. Si trova in un letto d’ospedale, o almeno, così sembra. E attaccato a un respiratore, e diverse macchine lampeggiano intorno a lui. Vicino all’entrata della stanza vede il direttore, con a fianco un uomo con gli occhiali che lo sta redarguendo a gran voce, e un altro uomo che indossa una tuta giallorossa. Ancora stordito, riesce a malapena a comprendere quello che stanno dicendo.

– Sei sicuro di volerlo riprendere indietro? – chiede l’uomo con gli occhiali a quello in tuta giallorossa.
– È entrato in quella stanza, è maledetto a vita, ormai è segnato! – esclama il direttore.
Stai zitto tu, che oggi hai già fatto abbastanza danni – replica stizzito l’uomo con gli occhiali.
– Lo rivoglio – afferma sicuro l’uomo in tuta.
– E sia. Ma rimandateci subito il nano indietro. E ditegli che se si mette a piangere lo spedisco a Mosca a fare la ceretta a Joao Mario. Ricevuto un cenno dall’uomo con gli occhiali, un infermiere stacca il respiratore a Leonardo e lo informa che può rivestirsi.

Poco dopo, nel parcheggio della sede, il terzino cammina stancamente dietro all’uomo in tuta.
– Non ricordo niente, solo… solo una barba, mi pare, e una croce con dei capelli biondi, o qualcosa di simile.
– Non ci pensare più.
I due avanzano nel parcheggio.
– Pensi che mi sia successo qualcosa? Che mi abbiano fatto qualcosa di brutto?
– A vederti così, mi sembri lo stesso di prima – risponde l’uomo in tuta.
Leonardo cammina in maniera incerta. Dopo qualche passo, si tocca di scatto il ginocchio.
Oddio, il crociato. Ho sentito un crack. Ecco che è successo. Mi hanno rotto il crociato.
– No, quello ce l’avevi già sfasciato prima di venire qui.
Leonardo fa un altro passo e arriva una nuova fitta di dolore.
Ah! l’adduttore! Sento pizzicare… sono stati loro!
– Ma se te lo sei strappato una settimana fa.
Un altro passo.
La caviglia! Mi si è girata! Il legamento…
– So’ tre anni che ti devi operare Leonà, per favore…

L’uomo in giallorosso si avvia verso la macchina. Leonardo, nonostante gli acciacchi che si ripresentano uno dopo l’altro, riesce a seguirlo. A un tratto, però, si blocca di nuovo, con un’ultima, terribile smorfia di dolore.
– Oddio, oddio! Il muscolo PSOAS! Oddio!
– Ecco, questo sì – risponde l’uomo in tuta, che poi guarda con rabbia verso la sede.
– Questo l’hai preso da loro di sicuro.

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