Io lo so che non è cosa buona e giusta accanirsi, ma non ci riesco. Ho un coagulo di rabbia qui tra le cellule dell’ippocampo che mi si deve sciogliere al più presto. Avevo i miei ragionevoli dubbi, anche perchè la tua ex-futura squadra la seguo da un po’ (ma chi me l’ha fatto fare poi, dico io…) e credo di aver visto due tra le più noiose partite della storia del calcio (una tra l’altro era contro l’Atletico Madrid e già lì si poteva iniziare a supporre che non ci avessi capito un cazzo). Novanta minuti di titic–titoc.
Però sono prima di tutto interista e se diventi l’allenatore della mia squadra, DEVI essere il benvenuto. A patto che tu capisca cosa stai facendo. A patto che tu non sia così ottuso da andare avanti per la tua strada, dopo un Triplete, volendo fare solo ed esclusivamente di testa tua.
Come un fondista della domenica, dovevi solo mettere gli sci nei binarietti segnati con tanto amore e perizia e lasciarti andare. Dovevi studiare la squadra. Non parlo di calcio amico mio, parlo di ambiente. E per quanto io mi possa sforzare di trovare del buono nelle tue parole in questi mesi, non credo onestamente che tu l’abbia fatto.
Signora, il bambino non è stupido, è che non si applica.
Quindi comprenderai questo ringalluzzimento generale, questo improvviso entusiasmo, questa voglia di rivalsa. Io, da tifosa, non ti ho mai chiesto schemi perfetti e gioco barcellonizzato. Ti chiedevo solo di crederci come noi, di farmi vedere che eri carico, di non sederti sdraiato in panchina come se fosse un divano, non di professare la calma al 91º di un derby.
Non ti si chiedeva di essere il marito perfetto, solo l’amante (un po’ maiale) che ci avrebbe fatto provare sensassioni uniche.