Bauscia Cafè

Tra tenerezza e scoramento

Proverò a mantenere un barlume di lucidità nell’analizzare non soltanto il pari di Firenze (che sa di beffa soltanto perché arrivato al 92′ ma sul finale di una partita giocata e interpretata malissimo dai nostri e con grande applicazione e sacrificio dagli uomini di Pioli, che avrebbero probabilmente meritato i tre punti), ma l’intero ultimo periodo della nostra Inter, quello del moriremo tutti, del “ci risiamo”, del Suning Out e del solito inizio della fine, grande classico di tutte le recenti stagioni nerazzurre non appena scocca dicembre.

Ci eravamo raccontati che l’1-3 casalingo contro l’Udinese era stato beffardo, viste le occasioni create e malamente sciupate, -ed era vero- così come la sconfitta di Sassuolo si era rivelata altro campanello d’allarme da tenere sì in considerazione, ma anche una gara contrassegnata da episodi sfortunati o negativi, una di quelle gare che, giocando altre mille volte, non avresti mai perso.
Purtroppo ci è toccata l’unica eccezione, pensa che stronzi.

Gli echi di stanchezza mista a rosa in progressiva disintegrazione+riserve non all’altezza si erano già levati dopo l’odissea Pordenone, tra il tifo Rai e gli insulti a questo Karamoh che non risolve da solo le partite facili, per giungere al boato di indignazione del derby di coppa Italia, punto attualmente più basso e infame di una stagione dove il confine tra ottenere qualcosa di davvero buono e una nuova catastrofe sportiva resta ancora estremamente labile, pur vedendoci comunque vivi e in grado di competere per l’unico, realistico obiettivo possibile: il quarto posto.

Eppure il brodino di Inter-Lazio raccontava una squadra con poco ossigeno e poche idee, che manteneva la forza di non farsi annientare da un avversario guascone, brillante, con poche pressioni e una gran voglia di guastarci definitivamente la “festa”. Una resistenza dignitosa, la chiamerebbero i più romantici di noi. Uno zero a zero sui toni del grigio, ma confortante.

Insomma, eccezion fatta per l’imperdonabile merda pestata contro i cugini in una partita dove sarebbe bastato il minimo sindacale per non farci ridere dietro da chi, poche settimane prima, aveva subito gol dal portiere del fanalino di coda della Serie A, l’Inter di dicembre, quella dei cinque punti in altrettante partite, aveva sì mostrato il suo lato peggiore e risvegliato fantasmi apparentemente scomparsi (anche se da molti sempre temuti perché mai del tutto sconfitti), però trovando sempre un qualche appiglio più o meno valido come giustificazione: la qualità dell’avversario, in riferimento ai pareggi contro Juventus e Lazio, la giornata storta di troppi giocatori in quel di Reggio nell’Emilia o le tante, troppe occasioni sprecate contro il redivivo Oddo.

Tutte scuse? Nì.
Nel senso che sappiamo bene tutti quali siano i difetti di questa Inter, squadra eternamente incompiuta e incompleta, priva di condottieri e di trascinatori, ma ci eravamo convinti che Spalletti, l’unico praticamente impeccabile e, a tratti, da santificare (però Luciano io una mano al modulo la metterei, perché due reti in sette partite non possono essere esclusivamente figlie di una condizione atletica deficitaria o dell’atteggiamento passivo di chi scende in campo, dai) potesse tenere saldamente in mano redini – e testicoli – dei tanti giocatori che solo con bastone e carota riescono a garantire un rendimento accettabile, se non addirittura superiore alle aspettative o alle loro stesse caratteristiche.
Una quercia non fa i limoni, così come questa Inter non è in grado di fare sempre il massimo e di tirarsi fuori dalle difficoltà soltanto con le proprie forze. Forze che non abbondavano in partenza e sono progressivamente venute meno partita dopo partita, complice la totale assenza di alternative e l’enorme mole di lavoro richiesta in special modo a centrocampisti ed eseterni offensivi.

Per quanto possa soprendere molti vista l’assenza di competizioni europee, l’Inter è una squadra stanchissima: e quando una squadra fisicamente a terra è anche una squadra tecnicamente mediocre e composta da molti giocatori totalmente privi di leadership, continuità nella prestazioni o concentrazione sui novanta minuti, finire col culo per terra è solo questione di tempo.

Fiorentina-Inter, al netto del risultato non negativo che avrebbe addirittura potuto essere una immeritata vittoria, se non ci fossimo ritrovati in maniera TOTALMENTE IMPREVEDIBILE (…) a difendere con una linea Nagatomo/Santon/Skriniar/Dalbert degna di una puntata di Six Feet Under, è stata l’esalazione dell’ultimo respiro per molti. E a mio personalissimo avviso è stata anche la peggior partita di sempre dell’Inter allenata da Spalletti.

Sorrisi trapelati
Sorrisi trapelati

La mia risibile esperienza come calciatore di bassissimo livello mi ha comunque dato una convinzione per me intoccabile: nel calcio la gamba viene prima di tutto.

E non sto parlando delle cosce di Candreva o D’Ambrosio, mie care nerazzurre infoiate, ma della tenuta atletica, che non è soltanto la capacità di coprire un tot di km a partita, ma anche quella di farlo con cognizione di causa. Molte volte si parla di cuore oltre l’ostacolo e di scarso impegno, e lo capisco. Gente come Joao Mario è inutile che corra, perché casi come il suo rivelano una attitudine negativa che deriva dall’indole del giocatore ancor prima che dallo stato di forma. Ma se parliamo di chi ha tirato la carretta fino ad oggi, non possiamo trascurare che la benzina ormai finisca troppo presto; e senza quella ogni discorso su cuore e impegno va a farsi fottere, perché gli occhi si appannano, la testa si appesantisce, i muscoli si irrigidiscono, la corsa si fa affannosa, casuale, le distanze tra i reparti diventano abissali, le giocate più semplici si trasformano in errori macroscopici, il pressing un’arma a doppio taglio che ti punisce alla prima ripartenza avversaria.

A Firenze è andata in campo una squadra per lunghi tratti incapace di giocare a pallone, per meriti dell’avversario e demeriti propri, ed è andata soprattutto in scena una squadra completamente spezzata: non si è mai apprezzata la compattezza che rendeva l’Inter del girone d’andata un undici comunque coeso e coordinato, bensì una caotica disorganizzazione con poveri samaritani che portavano il pressing mentre il resto dei compagni retrocedeva a ridosso di Handanovic, creando voragini delle quali sarebbe stato impossibile per chiunque non approfittarne, figuriamoci per una Fiorentina lontanissima parente di quel cantiere aperto visto a San Siro durante la prima giornata di campionato.

Quindi da un lato la svagatezza di chi invece dovrebbe (il condizionale è assolutamente d’obbligo) dimostrare di valere i milioni spesi per il proprio cartellino, dall’altra una condizione atletica in caduta libera che, abbinata ad un tasso tecnico certamente non di primissimo livello, finisce con l’annebbiare i pochi che potrebbero fare la differenza e i molti che non possono prescindere dal corretto posizionamento in campo: il risultato lo abbiamo visto soprattutto nel secondo tempo del Franchi, con quella insopportabile, costante apnea dei nostri, in totale balìa dei viola, incapaci di ricompattarsi, di tener palla, di trovare soluzioni alternative, di sfruttare gli spazi concessi per contropiedi che avrebbero paradossalmente chiuso il match. Una roba da Libro Cuore, se non si fosse trattato di milionari che dovrebbero rappresentare al meglio i colori per i quali facciamo il tifo. Per questo alla tenerezza subentra presto lo scoramento prima, i bestemmioni da portuale poi, e i vaffanculo finali quando subisci il gol che chiunque, anche mia mamma che ha 80 anni (cit.) aveva previsto.

Siano lodate queste due settimane di sosta.

Fermarsi adesso è l’unico modo per riflettere sulla situazione attuale e trovare i correttivi necessari a mantenere quella linea di galleggiamento che possa significare quarto posto: non mi aspetto molto dal mercato, anzi credo di non aspettarmi proprio nulla, e probabilmente la pensa così anche Spalletti. Mi aspetto invece che lui possa ritrovare la sua leadership, possa sentirsi protetto a dovere senza essere costretto a collezionare siparietti contro i giornalisti e ad essere unico scudo di uno spogliatoio ancora troppo fragile. Mi aspetto che oltre al fiato, l’Inter ritrovi la capacità di fare le cose per bene, con applicazione, dedizione e logica, magari ritoccando questo 4231 un po’ stantìo alla ricerca di nuovi equilibri e, soprattutto, di una maggiore produzione offensiva. Perché continuando così saremo noi tifosi a garantirla, la produzione offensiva. E non in termini di gol segnati.

Tutto è ancora possibile, tutto è ancora da giocare: torneremo in campo per uno scontro diretto delicatissimo contro un avversario altrettanto in difficoltà, in grado di darci la spinta necessaria per ritrovare la serenità smarrita e comprendere che aver superato senza danni trasferte dove chiunque ci avrebbe dato per morti deve essere uno stimolo, non un traguardo già raggiunto sul quale sonnecchiare per ritrovarsi, ancora una volta, con un pugno di mosche.

NicolinoBerti

Coglione per vocazione, interista per osmosi inversa dal 1988 grazie a un incontro con Andy Brehme. Vorrei reincarnarmi in Walter Samuel, ma ho scelto Nicola Berti per la fig...ura da vero Bauscia.

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