Bauscia Cafè

Terrore sulla fascia

Salotto di Dick Vircibaldi, notissimo attore hollywoodiano. Vincent Tremayne, il suo agente, siede su una poltrona del lussuoso salotto, battendo nervosamente le dita della mano destra sul bracciolo. Nell’altra mano tiene un bicchiere di whisky, pieno per metà, e lo agita di tanto in tanto, senza mai portarlo alla bocca.
Dick entra nella stanza con indosso una fragorosa vestaglia viola a quadretti blu, legata alla vita da una cinta rossa. Il pungente odore del sigaro che tiene in mano lo precede, facendo sì che Vincent si volti nella sua direzione.
– Sei un pezzo di merda, Dick.
– Mi dispiace averti fatto aspettare. Ma vedo che in questi dieci minuti hai comunque trovato qualcosa da fare – dice Dick, indicando il bicchiere di whisky.
– Io sono qui da un’ora e mezza, imbecille. E questo bicchiere…non so cosa farmene, me l’ha dato il tuo maggiordomo. Ma chi è che beve whisky alle 10 di mattina?
– Tua moglie, per esempio.
– Uhm, in effetti.
– Bene, Vincent. Ora che abbiamo introdotto questa storia usando un fintissimo dialogo da filmaccio americano, disturbando i lettori con espressioni false e col nostro umorismo da quattro soldi, direi di venire al sodo. Ovvero, al motivo per cui ti ho convocato.
– Non ho capito niente di quello che hai detto, Dick, ma fai come ti pare. Solo, sbrigati perché voglio tornare a casa e non vederti mai più.
Dick si alza, si scioglie la cinta e apre la vestaglia. Sotto di questa, rivela un paio di boxer celesti decorati con un motivo di decine di paperelle gialle. Dai boxer sporge un blocco di fogli piegati in due sul lato corto, tenuto fermo dall’elastico. Dick, con un gesto secco e deciso, sfila i fogli dai boxer e inizia a sventolarli davanti a Vincent.
– Di’, Vince, lo sai cos’è questo?
– Un mucchio di fogli intrisi dell’aroma delle tue palle sudate.
– No. Cioè, sì, anche, ma non è questo il punto. Vedi Vince, questo…(Dick fuma un paio di boccate dal sigaro, esibendosi in una pausa molto drammatica)…questo è il mio lasciapassare verso la statuetta dell’Oscar.
– Ancora con questa storia dell’Oscar.
– Lo sai anche tu che è il mio momento, Vincent. Sono anni che è il mio momento. Quello che mi è mancato, finora, è una parte che esalti veramente il mio talento, che accenda il fuoco che ho dentro, che tocchi dentro di me dei tasti quasi…pericolosi. Io voglio soffrire, Vince. Io voglio piangere. Voglio sudare. Io voglio vomitare! Questo voglio fare quando leggo una sceneggiatura, Vince. Espellere tutto il novero dei miei liquidi! Voglio cacarmi addosso, Vince! Voglio schizzare come un idrante! Voglio…
– Basta Dick, ho capito. Il messaggio è arrivato. Non importa che tu esploda in salotto.
– E questa, questa cosa qui, beh questa cosa mi ha dato tutte le emozioni che cercavo. Qui dentro c’è la parte che mi consegnerà alla storia, che mi consacrerà per sempre nell’olimpo del grande cinema.
– E…cosa sarebbe?
– Tieni, guarda tu stesso.
Dick passa i fogli a Vincent, che li afferra con pollice e indice, con malcelato disgusto. L’agente esamina poi la prima pagina, aggrottando la fronte.
– “Terrore sulla fascia”?
– Sì, Vince. “Terrore sulla fascia”.
– E sarebbe questa l’opera che dovrebbe sconvolgere la giuria dell’Academy?
– Precisamente.
– Mi sfugge il motivo per cui ciò potrebbe accadere.
– Vedi, caro Vince. Di Caprio ha dovuto lottare contro un orso finto e riempirsi di pellicce per sopravvivere a -40 gradi nella Terra del Fuoco. De Niro ha dovuto mettere su 15 chili di muscoli e poi ingrassare di altri 30 per sembrare un vecchio maiale. A me questo non bastava. A me serviva qualcosa di più.
– …
– Ed è per questo che voglio recitare in “Terrore sulla fascia”. E’ per questo che voglio interpretare a tutti i costi la parte di…
– Di?
– …la parte di un terzino dell’Inter.
– Cosa?!
– Hai capito bene. Terzino. Dell’Inter.
– Ora basta. Me ne vado.
– Fermati, Vince. Rifletti. Nessuna parte è più tragica in questo momento. E’ una storia cruda, sconvolgente, un pugno nello stomaco…
– Ti prego, abbi pietà di me.
– Da quattro anni, qualsiasi terzino arrivi in quella squadra viene colpito da un male misterioso. E’ un flagello che non lascia scampo, un morbo che prende e che non lascia più. Inizia coi piedi, che nel giro di una notte dalla firma del contratto si coprono di bubboni purulenti, divenendo completamente inutilizzabili. Chi va allo stadio crede che i colori sgargianti ai piedi dei calciatori siano quelli delle nuove calzature, ma si sbaglia. Sono i bubboni. Gli spettatori vedono D’Ambrosio con quelle cose metà verdi e metà arancioni, o fucsia, o rosa, ma non si rendono conto che non sono scarpe. Sono bubboni.
Il grande attore passeggia per il salotto, facendo un altro tiro dal sigaro.
– Altro che Nike Tiempo. Bubboni.
Vincent beve il bicchiere di whisky tutto d’un fiato.
– Poi è il turno della vista. Il malato perde del tutto la visione periferica. Tutto ciò che riesce a vedere è un piccolo spazio di fronte a sé, un binario morto indicato dalla linea di fallo laterale, che termina con la bandierina del calcio d’angolo. E’ per questo che quei poveracci non riescono a metter dentro un cross che sia uno: per riuscire a vedere dentro l’area, dovrebbero orientare tutto il corpo in quella direzione, e i giocatori delle altre squadre glielo impediscono facilmente. Oltretutto, se i disgraziati provano a calciare il pallone con decisione, i bubboni si gonfiano e iniziano a sanguinare.
Dick si ferma un attimo, visibilmente toccato dal suo stesso racconto, poi riprende la parola.
– Ed è per questo, anche, che quei bastardi degli attaccanti avversari segnano sempre tagliandogli alle spalle. Nel mentre che Santon riesce a girarsi e capire cosa sta succedendo dietro di lui, il misconosciuto esordiente di turno è già andato in gol almeno un paio di volte.
Vincent ferma il maggiordomo. – Un altro whisky Jerry, per favore.
– Da lì in poi è solo questione di giorni prima che il male attacchi il sistema nervoso centrale. Accade improvvisamente, da un momento all’altro. Il terzino si cristallizza, colto da una paralisi fulminea. Il poveraccio è lì che si fa i fatti suoi e zac!, si immobilizza per sempre. Diventa un omino del calcio-balilla.
– Jerry? Un whisky doppio, grazie.
– Spesso gli allenatori dell’Inter non si accorgono di niente e continuano a far giocare i malati. I tifosi vedono questi blocchi immobili, compatti, che stanno fermi sul campo qualsiasi cosa succeda intorno a loro, e li fischiano, credendoli degli incapaci che non onorano la maglia. Non si rendono conto del dramma che devono vivere. 
E la cosa peggiore è che non c’è via di scampo. Nessuna squadra, saputo che un terzino ha passato anche un solo giorno ad Appiano, si azzarda a comprarlo, a salvarlo. Sono destinati a rimanere tutti lì, ad attendere che il male faccia il suo corso. Al massimo, i più fortunati vengono imbalsamati e venduti a qualche collezionista, come è successo a Dodô e a Jonathan.
– Jerry? Chiama mia moglie e dille pure di venire a bere qui.
– Adesso, ti starai chiedendo la parte di chi, nello specifico, io voglia interpretare.
Vincent prende vigorose boccate direttamente dalla bottiglia di whisky e poi stramazza al suolo.
– Ebbene, caro Vince, devi sapere che ultimamente c’è stato un eroe, un valoroso guerriero che è riuscito a battere la malattia e a uscire da quel lazzaretto sano e salvo. Il suo nome…beh, il suo nome è Caner Erkin.
Dick si ferma un attimo di fronte a una finestra, a contemplare il paesaggio con sguardo fiero, quasi commosso.
– “Terrore sulla fascia” è la storia dei tre mesi che il grande Erkin ha trascorso all’Inter. Dai giorni immediatamente successivi alla firma del contratto, con la comparsa dei primi sintomi, alla fuga notturna nei condotti fognari di Appiano e all’imbarco come clandestino su un aereo cargo diretto in Turchia. E’ la storia di un uomo coraggioso, che è riuscito a trovare una cura al terribile morbo e a fuggire prima di essere scoperto.
Erkin ha potuto sperimentare personalmente l’orrore della malattia. Ha visto coi suoi occhi i corpi dei poveri colleghi consumati dal male. Ha dovuto spostare personalmente le statue, quei blocchi di marmo che un tempo erano D’Ambrosio e Nagatomo durante le esercitazioni tattiche, muovendoli con l’asta da calcio-balilla. Ha fatto da guida a Santon, accompagnandolo ai giardini e aiutandolo ad attraversare la strada. E, ovviamente, ha sofferto la malattia in prima persona, patendone gli effetti sul proprio corpo. Ricorderai sicuramente le prime amichevoli nelle quali è sceso in campo. Era già chiaro come il male si fosse accanito contro di lui.
Suona il campanello. Jerry apre la porta e la moglie di Vincent fa il suo ingresso in casa. Dopo essersi guardata intorno ondulando la testa, con gli occhi a mezz’asta, urla “dov’è il mio bourbon?”, poi inciampa in un vaso, picchia una testata contro il pavimento e si addormenta. Vincent, nel frattempo, russa sdraiato sul tappeto, con la bottiglia vuota accanto a sé.
– Di fronte a tutto quell’orrore, Erkin ha cercato dentro di sé la forza per reagire. Non voleva arrendersi alla malattia. Ha consultato di nascosto esperti da tutto il mondo, nella speranza di individuare una terapia. Si è sottoposto agli esperimenti più pericolosi, ha prestato il suo corpo alla scienza. Purtroppo, però, senza alcun risultato. Il male avanzava inesorabile. Finché un giorno…
Il maggiordomo si china a tastare la frequenza del polso della signora Tremayne, scuotendo la testa preoccupato.
– Finché un giorno, mentre stava riponendo in magazzino l’asta che sorregge D’Ambrosio e Nagatomo, ha sbattuto un piede contro una scatola, rovesciandone in parte il contenuto. La scatola era piena di bottiglie, alcune delle quali si erano rotte e rovesciate per terra. Erkin non prestò attenzione all’etichetta che le bottiglie portavano: si limitò a pulire il tutto velocemente e a andarsene. Nel farlo, però, non poté evitare che il suo piede sinistro venisse a contatto con la sostanza rovesciatasi sul pavimento. Non diede molto peso alla cosa, la situazione non poteva certo peggiorare.
Il giorno dopo, posando il piede sinistro per alzarsi dal letto, percepì una sensazione strana. Non sentiva alcun dolore. Guardando il piede, infatti, notò subito che i bubboni erano spariti. Erkin si precipitò allora verso il magazzino, aprì la scatola e lesse l’etichetta che portavano le bottiglie. E sai cosa c’era scritto, Vince?
– ROOOOONF
– C’era scritto…”Birra di Maicon”. Capito, Vince? “Birra di Maicon”.
Dick si avvicina a Vincent, toglie uno dei piedi dalle pantofole e inizia a sventolarglielo davanti al naso. Il piede di Dick presenta diversi bubboni fosforescenti, che lo fanno rassomigliare all’ultimo modello di Nike Mercurial. Il sapido olezzo emanato fa subito rinvenire Vincent.
– E così, Vince, Erkin si è cosparso tutto il corpo di Birra di Maicon, ed è fuggito la notte stessa.
– Dove mi trovo?
– E’ una storia straordinaria, è la parte della mia vita.
– Che cosa sono…queste cose che hai sui piedi?
– Tu sai che tipo di lavoro faccio sui personaggi, Vince. Da quando ho cominciato a studiare questa parte, a sentirla mia, il mio corpo ha sviluppato i sintomi del morbo. Come vedi, sono alla prima fase.
– Io…non capisco.
– Tu non devi capire.
Dick prende il mucchio di fogli e lo lancia addosso a Vincent.
– Tutto quello che devi fare è procurarmi quella parte. Stop.
Vincent si alza in piedi, si scosta la polvere dalla giacca e rimette insieme i fogli.
– Quindi…tu vuoi…
– Sì.
L’agente, visibilmente confuso, si avvia verso la porta.
– Perché mia moglie è sdraiata sul pavimen…
– Shhh. Raccattala e vai. Vai a prendermi quella parte.
L’agente carica la moglie sulle spalle, apre la porta e esce. Dick sprofonda nel suo divano, e contempla con gioia i piedi fosforescenti.
– Sono un grande artista – , esclama soddisfatto.
 
terrore

Grappa

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