Bauscia Cafè

Tiro Mancini

E chi se l’aspettava?
No, dico, avreste mai scommesso su un ritorno del Mancio di questi tempi, stretti tra la morsa del FPF e il credo thohiriano di proseguire con l’allenatore cui aveva rinnovato la fiducia pochi mesi fa?
Personalmente no, soprattutto per una questione economica, e anche perché non avrei mai creduto che uno come Mancini avrebbe potuto raccogliere una sfida del genere in corsa, con una squadra non sua, senza esterni offensivi, assemblata (più o meno) per un tecnico molto diverso da lui, dentro e fuori dal campo.
Ce lo siamo ritrovati ad Appiano Gentile in una giornata di pioggia violenta, ma come un vero e proprio fulmine a ciel sereno, lui che di cuori nerazzurri ne ha infranti tanti, con quell’Inter malata di pareggite che giocava un gran calcio e tornava a vincere dopo tanti, troppo anni; e poi Ibra, gli scudetti, il record di vittorie, tra una rimonta con la Samp e una disfatta contro il Villareal, fino al vituperato addio che, però, ci accompagnerà verso la storia Inter del Triplete.
Certo, la situazione era giunta al culmine dell’esasperazione: Mazzarri farfugliava davanti alla telecamere, la squadra non ha mai dato l’impressione di essergli contro ma rivelava una debolezza psicologica davvero troppo evidente, che rendeva ogni gol subito una montagna da scalare, spesso a vuoto.
Ecco allora il cambio, repentino, inaspettato, per molti lieto, per altri azzardato, per altri ancora addirittura controproducente.
Il Mancio ha portato da subito l’entusiasmo di chi sa usare le parole giuste, senza vergognarsi di un paraculismo buono e un po’ bauscia (lui, che bauscia non è e sappiamo benissimo perché), e ha cercato di trasmetterlo ai tifosi e ai suoi giocatori, per un calcio più propositivo e, soprattutto, più offensivo.
Avrà sicuramente avuto determinate garanzie, perché non credo che nè lui nè la società vogliano che questo ritrovato matrimonio si concluda tra pochi mesi: è un segnale forte ed è, forse, il vero, definitivo anno zero da cui ripartire una volta per tutte.
Come però ci insegnano Elio e le Storie Tese tra il dire e il fare c’è di mezzo “e il”, e nel derby di domenica sera l’entusiasmo di una settimana di allenamenti ha lasciato spazio a molte delle solite magagne viste nel recente passato, regalando alla splendida cornice di pubblico di San Siro uno spettacolo migliore rispetto a quello degli ultimi, terrificanti confronti tra le milanesi, ma comunque ricco di errori, incluso quello di una designazione arbitrale palesemente inadeguata.
L’Inter di Mancini torna alla linea difensiva a quattro e, dopo un anno e mezzo di 352, Ranocchia e Juan Jesus mostrano imbarazzi non da poco, figli anche di limiti tecnico/tattici personali, mentre i due terzini si confermano a loro agio nella fase offensiva (agevolata dal miglior fraseggio generale a centrocampo), ma molto difettosi in quella difensiva: Dodò concede spesso e volentieri campo a un Rami in serata di grazia, anche per colpa della ectoplasmica serata di Kovacic, schierato esterno sinistro offensivo per un’idea che credo non abbia convinto nessuno.

Buon lavoro, Mister. Con la erre finale, stavolta.
Buon lavoro, Mister. Con la erre finale, stavolta.
Poco male però, perché l’Inter è sembrata più manovriera del solito, più presente sul campo, persino più ordinata, e l’occasione divorata da Icardi dopo un suicidio di Muntari in disimpegno grida ancora vendetta.
I meccanismi però sono ancora quelli della gestione precedente, così come le minchiate difensive: succede quindi che Nagatomo e Ranocchia improvvisano un flash mob mentre il Milan trova lo splendido vantaggio con Menez in modalità Beccalossi.
Un film già visto, con nubi che si addensano minacciose sui pensieri di noi interisti: ed è qui che personalmente ho trovato la notizia più positiva della serata.
L’Inter infatti dopo lo svantaggio non ha rinculato, paralizzata dalla paura e dalle proprie incapacità: lo ha fatto anche con l’aiuto dell’atteggiamento passivo del Milan, certo, ma ha cercato di mantenere l’iniziativa, pur non avendo a disposizione giocatori avvezzi al dialogo e inclini alla verticalizzazione.
Non è un caso che arrivi il gol del tanto bistrattato Obi, autore fin lì, a onor del vero, di una partita insufficiente: è un premio all’atteggiamento complessivo, che ci vede ancora poco incisivi là davanti, ma presenti, vivi.
E se El Shaarawy ci grazia dopo l’ennesima sciagura targata Ranocchia, poco dopo è Icardi è far la barba all’incrocio con una girata di rara bellezza, mentre la fortuna decide di rappacificarsi col nerazzurro su quella conclusione finale di Poli che esce di pochissimo e che sarebbe stata la peggior beffa per il ritorno di Mancini sulla nostra panchina.
Un ritorno che aprirà nuovi orizzonti, ma che ci obbliga ad una nuova iniezione di pazienza: impensabile vedere un’Inter diversa in una manciata di giorni, altrettanto discutibile rivedere Palacio e Kovacic con compiti tattici che ne snaturino oltremodo il ruolo originale, però si è intravista una diversa consapevolezza che dovrà tradursi velocemente in risultati positivi. In vittorie.
Ed è qui che il Mancio deve vincere la sfida: è salito su un carro dalle ruote sgonfie, se non forate, sprovvisto di accessori costosi e finiture di lusso, oltretutto assemblato per un diverso conducente. Dovrà ricompattare il gruppo, sfruttare i pochi punti di forza a sua disposizione, motivare quelli che possono e devono dare di più (Guarin su tutti)e, soprattutto, mettere fine a quella infinita serie di oscenità difensive che spesso ci obbligano a rincorse disperate.
È un lavoro difficile ma affascinante, ed è forse per questo che il Mancio ha deciso di tornare in nerazzurro rimettendo in discussione risultati di assoluta eccellenza.
Una certezza però l’abbiamo ritrovata: scegliendo uno come lui invece del traghettatore di turno, l’Inter dimostra di voler tornare grande in fretta.
Speriamo che l’ormone della crescita con la sciarpetta faccia subito effetto.

NicolinoBerti

Coglione per vocazione, interista per osmosi inversa dal 1988 grazie a un incontro con Andy Brehme. Vorrei reincarnarmi in Walter Samuel, ma ho scelto Nicola Berti per la fig...ura da vero Bauscia.

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