Bauscia Cafè

Jurassic Football

Per gli amici di Bauscia Café per i quali Adriano 5th of November “tifa fin da quando era bambino” e dei quali apprezza l’incoscienza nel pubblicare questo sproloquio.

Bauscia - Jurassic
Ascolto consigliato: Fate voi, l’argomento del post non m’ispira nulla…
Padre: “Ehi c’è l’Inter stasera… Che ne dici, ce la cerchiamo la partita in streaming…? Fra l’altro, giochiamo contro…”
Figlio, interrompendo il Padre: “Eeeeh… Non soooo… Devo ripassare che domani ho il compito in classe di Matematica… cioè no, volevo dire di Storia…”
Pausa.
Padre: “Vabbé… Ho capito…”
Silenzio. Figlio si allontana furtivo.
Padre: “Ah, per la cronaca… Il compito in classe di Matematica l’ho firmato due giorni fa e quello di Storia non credo esista in questa parte del mondo… La prossima volta scegli il compito in classe di Ginnastica che fai prima…”
Aneddoto abbastanza ruffiano, lo ammetto. Ma avrei potuto sceglierne altri cento e il risultato sarebbe stato sempre il medesimo, riassunto breve e fedele di come è stata vissuta la stagione Inter 2013-2014 in casa del sottoscritto: una lunga e annoiata apatia alla ricerca del benché minimo segno di vita.
E pazienza se questa dichiarazione d’emblée su uno stato d’animo personale, attirerà le ire funeste delle guardie nerazzurre in servizio permanente: ho qualche primavera, mi sono sorbito l’Inter di Chiappella e di Tardelli, quella di Cerilli, di Piraccini, di Catellani e di ben due Fontolan, l’amore per questa maglia c’è e lo vivo come voglio, di patenti di interismo francamente me ne frego all’ennesima potenza.
Diciamo che è stata un’annata che per me non è mai iniziata o che poteva considerarsi già finita allo storico annuncio che l’esimio Mazzarri Walter da S. Vincenzo si sarebbe seduto sulla nostra panchina, non come comparsa ma anzi, come attore protagonista profumatamente pagato.
Mi spiace. Non posso farci niente. Ho sviluppato nel corso degli anni una specie di repulsione genetica e psicosomatica al limite del metafisico verso il personaggio e l’allenatore Mazzarri. Di lui non mi è mai piaciuto nulla, dal taglio di capelli anni novanta forever agli schemi (inesistenti) sui calci d’angolo.
Nulla.
Il Livorno, la Reggina, la Sampdoria, il Napoli, un unico e indissolubile filo conduttore fatto di calcio preistorico, gioco monocorde, atteggiamenti criticabili, dichiarazioni arroganti. E mea culpa, non avendo mai sviluppato un interesse particolare per Acireale o Pistoiese (nda, oddio per quest’ultima forse sì, perlomeno nell’anno della Seria A e dell’acquisto del formidabile ‘straniero’ Luis Silvio…), non posseggo i dvd di tutte le partite nelle annate in cui Mazzarri è passato da quelle parti e quindi il mio giudizio si limita ad anni recenti. Errore imperdonabile, lo so, al quale cercherò di rimediare molto presto, magari acquistando la cinquantesima edizione della sua di lui biografia che avrà in bonus i dvd con le opere del ‘maestro’.
Mi spiace ‘numero 2’: sono un talebano del ruolo dell’allenatore. Forse esagero, forse ne sopravvaluto ruolo e impatto. Ma la mia passione per lo sport, e per due sport in particolare, è stata alimentata in maniera determinante da Rinus Michels da una parte e Bobby Knight dall’altra. Ho un libro del primo e delle dispense ciclostilate con schemi e commenti del secondo, le conservo gelosamente insieme alle note di gara quattro della finale Fischer-Spassky del 1972 (una delle più belle partite a scacchi di sempre, ma questa è un’altra storia) e di tanto in tanto me le rileggo volentieri. E quando le rileggo ci trovo ambizione, coraggio, mentalità, fiducia nei propri mezzi, rigore, tattica, obiettivi condivisi, spirito di gruppo, sacrificio del singolo e del collettivo. Fondamenta di uno sport di squadra, tanti piccoli tasselli che contribuiscono a costruire e a cementare un gruppo di esseri umani prima e di atleti poi, attorno a un elemento che funge da catalizzatore, dove l’obiettivo finale non è solo ed esclusivamente la vittoria, quanto piuttosto l’appartenenza e la sublimazione a quel gruppo e a quei colori.
E data queste considerazioni spropositate (forse) e sproporzionate (forse meno) per chi guida un gruppo di atleti, l’allenatore innanzitutto e il personaggio ‘Mazzarri’ poi, risultano altamente indigesti.
Non mi piace come giocano le sue squadre, sempre e immancabilmente nello stesso modo: un 352 vecchio e stantio che si pratica ormai solo in Italia, vestigia decadente di un passato di gioco di rimessa, coperta corta per allenatori con poche idee, bassa predisposizione al rischio e poca voglia di sperimentare un gioco più propositivo. Coperta che si dimostra poi cortissima non appena si varcano i confini nazionali (vero Conte?) perché se hai poche idee e gli altri corrono più di te, il fallimento è una certezza. Uno schema che nella concezione mazzarriana attribuisce un’importanza spropositata a un ruolo secondario (il famigerato terzino) attraverso il quale dovrebbe passare tutto il gioco di squadra. Gioco che prevede una colonna vertebrale per palati fini costituita da un portiere, tre centrali, due terzini e un mediano (per di più immobile nel nostro caso… immobile inteso come aggettivo e non come Ciro… ma forse qui la colpa non è solo di Mazzarri…): sette-giocatori-sette di stampo difensivo, con il compito di distruggere più che costruire, che garantiscono il famigerato ‘sviluppo sulle fasce’, fonte magica dalla quale dovrebbe sgorgare come per incanto il nostro gioco frizzante naturale.
I fatti hanno dimostrato come l’affrontare l’Inter di Mazzari sia stato un rompicapo irrisolubile per tutte le squadre venute a S.Siro quest’anno: due uomini a bloccare le fasce, marcatura a volte a uomo su Hernanes e l’allenatore avversario avrebbe potuto assentarsi durante i novanta minuti, bersi tranquillamente un caffè, e dedicarsi ad attività intellettualmente più sitmolanti.
Tutte le partite alle quali ho assistito hanno sempre avuto lo stesso copione e la stessa, sgradevole sensazione di gioco retrò, di noia, d’impotenza, di borbottii monótoni da trattore agricolo, con i minuti che passano senza che si cambi una virgola, senza un lampo, senza un sussulto, un’idea, un sentimento di ribellione. Mai una sorpresa, squadre sempre messe in campo con il grembiulino e il cestino della merenda, tanti scolaretti ligi alle consegne, con la paura di andare alla lavagna per svolgere puerili calcoletti imparati a memoria, passaggini orizzontali fatti con il terrore in volto e con la sensazione che la mediocrità impartita vada oltre la scarsezza intrinseca di alcuni interpreti. Ma che calcio è? Ma dove è l’ambizione? E soprattutto, dove è il valore aggiunto dell’allenatore? Che cosa lo differenzia, con tutto il rispetto, da un Ballardini o da un Corini?
So per esperienza che a questo punto partono i cosiddetti “sì però…
“Sì però… la rosa è scarsa…” Può darsi. I fondamentali di alcuni giocatori sono indubbiamente imbarazzanti. Assioma valido per Mazzarri come per quasi tutti quelli che lo hanno preceduto in anni recenti. E soprattutto, valido anche per tante altre squadre di questo (ex) campionato più bello del mondo. Leggendo infatti le rose di Torino, Parma o anche solo Fiorentina, non ho trovato fuoriclasse leggendari che giustifichino il fatto che si è arrivati due miseri punticini davanti o addirittura cinque dietro (e tralascio i soli tre punti in più e derby perso con il peggior BBilan degli ultmi trentanni). Non è che forse gli allenatori di quelle squadre sono riusciti a dare un seppur minimo valore aggiunto?
“Sì però… ha fatto più punti di Stramaccioni e ha statistiche migliori…” Vero. Ma se per giustificare un allenatore pagato come top ci ritroviamo a confrontare punti e calci d’angolo con l’annata Inter più disastrosa degli ultimi quindici anni… beh… allora si potrebbe anche dire che l’economia italiana è molto florida rispetto a quella che ha vissuto i bombardamenti del ’44… Tutto è possibile, basta contestualizzare, parola magica molto in voga in questi anni incerti.
“Sì però… ha valorizzato tanti giocatori, anche all’Inter…” Francamente, qui devo prendere il microscopio per trovarne uno. Poi si può sempre raccontare che l’aver fatto marcire Kovacic in panchina per sette mesi ha fatto di quest’ultimo un fuoriclasse e un uomo temprato agli imprevisti della vita.
“Sì però… le squadre di Mazzarri rendono sempre di più dal secondo anno…” Qui gioco il jolly, non mi pronuncio e lascio ad altri il privilegio di consultare testi di cabala perché entreremmo in un campo esoterico di Lune in Saturno che poco m’interessa.
Non mi pronuncio poi sull’uomo Mazzarri perché non lo consoco personalmente. Tralascio i miei sentimenti sul personaggio Mazzarri perché sconfineremmo in un ambito fatto di enzimi, ormoni e reazioni chimiche necessariamente soggettive. Di certo non ho apprezzato molto il suo ego smisurato a discapito del valore di chi gli sta intorno (facevo fatica a sopportare anche il Vate quando si comportava così, per dire…), quella spasmodica ricerca di eterne giustificazioni (anno particolare, cambio di proprietà, giocatori inesperti (!), giocatori in scadenza, giocatori stranieri,… litania senza fine), quel piangere miseria sulle qualità tecniche e caratteriali dei suoi giocatori nemmeno fosse l’allenatore di una squadra di dopolavoro aziendale, quell’arroganza, quel giustifcarsi sempre e comunque, addebitando a giocatori, arbitri, tifosi, stadio, invasione delle cavallette e altre catastrofi naturali il mancato conseguimento di obiettivi prefissati. E mi fermo qui.
Bauscia - RinusMichels
In sintesi, un anno sulla nostra panchina ha confermato tutte le remore e il giudizio maturato nel corso degli anni: un allenatore giurassico per gioco, ambizioni, per come concepisce il gruppo, per come interagisce con chi gli sta attorno.
Un allenatore, tanto per chiarire, che poteva anche essere accettato turandosi il naso e ingoiando l’olio di ricino nel fine impero Moratti, con poche idee, niente soldi e zero entusiasmo. Un allenatore da salviamo il salvabile e cerchiamo di galleggiare nell’imbarazzante Serie A attuale, un inconscio adda passà a nuttata in attesa di tempi migliori (nda, avevo scommesso con un amico che se Moratti fosse rimasto con lo Stramaccioni di turno, sarebbe stata Serie B nel giro di un paio d’anni…). Ma ciò che è inconcepibile, per me, è il considerarlo pietra miliare di un nuovo corso che si pensa, si spera, si anela, sia ambizioso (le premesse stanno dimostrando il contrario… ma forse è presto… al 31 Agosto rimarranno solo i fatti e allora si giudicherà per davvero…) Un nuovo corso meno provinciale, più internazionale di nome e di fatto, più consono alla nostra storia e al nostro DNA e che guardi oltre gli angusti confini italici.
Certo, una soluzione c’era: bastava esoneralo. Non so cosa ne pensi davvero Thohir ma credo che non sarebbe stata una decisione facile. Allenatore italiano, con fama da top, ultra-difeso da stampa e ambiente, ha raggiunto l’obiettivo minimo (anche se così minimo che ‘più minimo’ non si può), è qui da un anno e ha un contratto per un altro anno. Il Moratti dei bei (!) tempi avrebbe stracciato tutto e in uno dei suoi momenti di scarsa lucidità l’avrebbe esonerato – per prendere poi un Mihajlovic qualunque da esonerare anch’esso dopo cinque giornate della stagione successiva. Thohir non è Moratti, con tutto il rispetto per entrambi. Credo abbia in testa un piano triennale, con step intermedi (nda, potevo dire ‘tappe’ ma ‘step’ fa più management e piano strategico), con obiettivi e priorità precise (almeno spero, se poi è un peracottaro, pace…): in questo contesto e a meno di catastrofi non prevedibili, i contratti si rispettano e gli allenatori non si esonerano. La conferma me l’aspettavo come un non-evento: da professionista la capisco, da tifoso mi fa incazzare come una biscia.
In fondo non chiedo molto. Chiedo solo che allenatore (e giocatori, ovviamente) mi restituiscano quella voglia di tornare a guardare l’Inter con piacere, con il gusto di vederla giocare, magari anche male, ma di vederla osare, avendo il mal di pancia tre ore prima di una partita, facendo F5 ogni trenta secondi alle 20:35 o alle 14:45 per scoprire se ci sono sorprese nelle formazione schierata, quel sorprendermi in positivo o in negativo (siamo l’Inter, ça va sans dire…) nel corso di una partita o di una stagione, fuori dal piattume monotono e monocorde, il mostrarmi sussulti d’orgoglio, l’osare, lo sfidare, il mettere in campo un ventenne sbarbato e affamato piuttosto che il trentenne bolso e spompato, il difendere giocatori, colori, maglia, ambizioni, appartenenza.
In fondo, non è molto. Davvero
Pagina 67 del libro di Rinus Michels : “(…) valorizzare le qualità di ogni singolo elemento per sublimare la riuscita del gruppo nella continua ricerca di traguardi (…)”
Ecco.
Già.

E adesso mi rannicchio qui, chiudo gli occhi e mi addormento su questa pagina.

Adriano ‘5th of November’ Fermi

Adriano 5th of November

Nasce già extra-extraparlamentare. Se un giorno sarà scelto per una missione sulla stazione spaziale in orbita attorno a Marte, si porterà la maglia di Bonimba, una scacchiera, la manovella di un winch e un erogatore. Forse.

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