Bauscia Cafè

Aridaje

Sono venticinque le partite giocate finora dall’Inter in campionato.
In venticinque gare e con un calendario tutt’altro che proibitivo, non siamo ancora riusciti a centrare tre vittorie consecutive, in una sindrome da eiaculazione precoce che mescola tristezza e rassegnazione.
Un peccato che diventa frustrante alla luce dei due risultati di ieri sera, con Fiorentina e Napoli fermate entrambe sul pareggio: battere il derelitto Cagliari del quasi licenziato Lopez avrebbe significato un meno tre dal quarto posto e addirittura nove punti di distacco da quel terzo posto che, comunque, resta una chimera anche per i tifosi più ottimisti e viscerali.
Quello che colpisce negativamente e che ormai non sorprende più sono le dichiarazioni post-partita del prode Mazzarri, una sorta di delirio mentale dai risvolti grotteschi che, in certe affermazioni, sembra spiegarsi soltanto con l’aver compreso che l’Inter 2014/2015 non sarà più sua: “sembrava ce la stessimo tirando” è una analisi tecnico-tattica assai profonda, che tradisce una profonda convinzione della squadra nei propri mezzi.
D’altronde battere una squadra venuta a Milano a difendere (imprevedibilmente!) lo zero a zero iniziale doveva essere proprio un’impresa sportiva di quelle da consegnare ai posteri: forse è per quello che “finchè il Cagliari ha avuto energie per pressare ha avuto i suoi meriti nel non farci fare tante palle goal” e “ci hanno pressato ovunque, erano ben organizzati, hanno studiato i nostri meccanismi”.
Lui invece no. Lui non studia i meccanismi altrui.
Lui si limita a sistemare in campo la squadra come al solito: un undici compassato come il suo modo di vedere il calcio, lento come la sua capacità di lettura della partita, ancorato ad una totale assenza di idee che consentono persino al Lopez di turno di attuare facili contromisure lasciando che il primo tempo scorra via senza sussulti, se non per un rigore (contro ovviamente, non scherziamo) che io non avrei fischiato ma che, spesso, finisce per diventare quell’episodio negativo che ti fa perdere una partita dove, per un’intera frazione di gioco, non hai fatto nulla per dimostrare di volerla vincere.
È un non-gioco che snobba le vie centrali, povere di interpreti certo ma comunque utili anche a variare il demenziale canovaccio del “palla agli esterni e sticazzi”, preferendogli un’ossessiva ricerca del cross al centro per nonno Milito, ormai pallida controfigura del campione che rimarrà sempre nei nostri cuori e uomo regalato all’avversario; ossessione persino contraddittoria, quando Mazzarri insiste su un Jonathan tornato alle oscenità di un tempo non troppo lontano, lasciando in panchina quel D’Ambrosio pagato con quattro mesi di anticipo per fargli fare panchina invece di prelevarlo gratuitamente a fine stagione.

"Stai là, sennò mi tocca fa entrà D'Ambrosio. Boia dé."
“Stai là, sennò mi tocca fa entrà D’Ambrosio. Boia dé.”
Quali mirabolanti movimenti debba assorbire l’ex Torino non ci è dato saperlo, in compenso lo spassoso Mazzarri commenta così: “”Perché dovrei cambiare la squadra se si arrivava da una buona prestazione come quella di Firenze? Al momento ci sono Jonathan e Nagatomo, oggi non sono neanche stati ammoniti. Dovessero esserci squalifiche e infortuni, valuterò anche D’Ambrosio.”
Questo ci fa capire come il Genio abbia insistito tanto per avere D’Ambrosio da subito affinché potesse far sedere in panchina un tizio qualsiasi, in attesa che uno tra Jonathan e Nagatomo si sfasci una gamba o venga squalificato per l’ennesima diagonale sbagliata.
Una iniezione di fiducia niente male per uno che, al primo giorno da interista, aveva dichiarato di aver scelto l’Inter perché sicuro di poter crescere grazie agli insegnamenti di Mazzarri. Evidentemente non riesce ancora ad assorbirli, povero cristo.
Sul resto c’è poco da dire, se non che continuare a tener fuori questo Icardi che fa segnare, si sbatte, cozza contro una clamorosa traversa e si procur(erebbe) un rigore sul quale Carmen Russo sorvolahahahahaha continua a sembrare un attentato all’intelligenza del tifoso nerazzurro, ed anche l’ingresso del sempre vivace Botta a dodici minuti dalla fine sembra il contentino dato a chi da circa ottanta minuti auspicava un’Inter più offensiva.
Chiedevamo coraggio, otteniamo ampi gesti con le mani in un movimento a chiudere verso l’interno: l’Inter è il solito budino tremolante che si sveglia in ritardo, recrimina giustamente su decisioni arbitrali costantemente avverse che, tuttavia, non dovrebbero far passare in secondo piano una prestazione fatta di melassa, paure e imbarazzi.
Se neanche in un match casalingo col Cagliari è possibile trovare la forza di cercare i tre punti da subito tentando una minima variazione sul tema, non capisco davvero quale sia il valore aggiunto di questo allenatore che, a fronte di una rosa incompleta e mediocre se paragonata alle prime quattro della classe, è arrivato a fine febbraio senza aver costruito nulla di davvero tangibile, perpetuando l’idiosincrasia verso i giovani e nascondendosi dietro un dito.
A molti continua a piacere, altri ritengono stia facendo quello che gli era stato chiesto, ovvero portare l’Inter in Europa League, l’obiettivo più realistico per questa squadra: verissimo, e probabilmente ci riuscirà.
Ma a mio avviso conta anche il modo in cui si centra una determinata posizione: se sarà un 5° posto fatto di vittorie stiracchiate, pareggi stitici e sconfitte inevitabili, senza arte né parte, senza un’anima o un piccolo substrato tecnico dal quale ripartire, il mio personalissimo augurio è che Thohir si decida a voltar pagina affidando la squadra a chi non veda nei giovani l’Anticristo, a chi possa plasmare l’undici iniziale anche tenendo conto dell’avversario e a chi, soprattutto, possa evitare di chiamare Vidic “Vidicce” in televisione rovinando una astuta mossa di marketing.

NicolinoBerti

Coglione per vocazione, interista per osmosi inversa dal 1988 grazie a un incontro con Andy Brehme. Vorrei reincarnarmi in Walter Samuel, ma ho scelto Nicola Berti per la fig...ura da vero Bauscia.

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