Bauscia Cafè

AAA contadini cercansi

La cultura contadina, della quale sono figlio, seppur indegno, è universale. In essa ci sono non solo le nostre radici ma anche la sottintesa spiegazione al perché le cose vanno male, le subliminali soluzioni alle nostre domande, i nascosti rimedi alle nostre malefatte. La cultura contadina è scandita da tempi precisi, netti, non eludibili né confondibili tra loro. C’è un mese per l’aratura, uno per la semina, uno per il raccolto; c’è il tempo per l’innesto e quello per la potatura, quello per l’aratura e quello per la cura. Le cose, semplicemente, vanno fatte in “quella” maniera e giammai in “quell’altra”. Pena il fallimento.
Fatta questa doverosa premessa, consentitemi un gioco: guardare ad una squadra di calcio con gli occhi di un contadino. Vi risparmio la parte “agreste” preferendo puntare all’aspetto che più ci interessa. Una squadra che si rispetti si valuta a fine stagione.

Si progetta a giugno.
Si costruisce a luglio.
Si rifinisce ad agosto.
Si presenta a settembre.
Si definisce in ottobre, novembre, dicembre.
Si rinforza a gennaio.
Si fa fruttare in febbraio, marzo, aprile e maggio.
Quindi si ricomincia, valutando i risultati.

A me non sembra sia andata (e stia andando) così.
I “fine stagione” si susseguono, e le valutazioni di chi avrebbe il compito di farle non vengono fatte o quanto meno non sono azzeccate. Sono ormai quattro anni che avremmo bisogno di un progetto, e invece procediamo a tentoni, spesso contraddicendo i nostri stessi buoni propositi iniziali, con operazioni di mercato sempre e invariabilmente errate. I progetti, lo dico tanto per esser chiari, non riguardano necessariamente basi orbitanti nello spazio, ma anche villette di campagna: traslato nel contesto significa non allestire uno squadrone da sogno, ma una squadra che giochi a calcio e diverta il pubblico. Spero d’aver reso il senso.
Non costruiamo nulla di solido: sono anni ormai che, ad un avvio accettabile (quando c’è, vero Gasperini?) fa seguito una lunga fase di agonia demolitrice. Gli impegni del calcio estivo sono visti quasi esclusivamente in ottica commerciale, giocati fra assenze importanti, trattative ancora in corso sia in entrata che in uscita, nazionali, voli transoceanici, vacanze prolungate; e mai facenti parte di un programma teso alla coesione del gruppo.

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Il buon giorno si vede dal mattino. Ecco infatti, io sto caricando letame… poi trasporto il letame… poi spargo il letame… praticamente una giornata di merda!

Le stagioni che iniziano sono figlie di tutto ciò: spesso si comincia affidandosi alla buona sorte, con schemi e uomini messi insieme alla bell’e meglio negli ultimi giorni. Più che “definirsi”, la squadra finisce per trovare una sua quadratura per inerzia, durante i primi mesi di campionato: la prima strada percorribile diventa un’autostrada, anzi una ferrovia, dalla quale è sconsigliabile deviare. Ormai per gli esperimenti è tardi e non è più consentito scherzare.
Alle prime difficoltà ci si accorge puntualmente che a gennaio, più che rinforzare, bisognerebbe rifondare. Ma a quel punto (per quanto riguarda i movimenti in ingresso) ci sono in giro solo scarti costosissimi ed ex-soluzioni altrui a prezzo di saldo; in uscita, i soliti “casi umani” fatti di esperimenti non riusciti, delusioni più o meno previste, tentativi di fare cassa. Venghino signori, venghino.

Va da sé che il raccolto dell’ultimo quadrimestre va a farsi benedire, in quanto diretta conseguenza di ciò che si è fatto, o meglio, non fatto in precedenza. Anche nella stagione in corso, per la quarta volta consecutiva da quella fatidica annata, non abbiamo osservato le regole del contadino.
Ecco: quando ci chiediamo perché le cose vadano sistematicamente male, è ad un parallelismo del genere che dovremmo ricorrere. Quasi mai, nella cultura contadina, una operazione è fine a sé stessa: ogni cosa è invece vista in funzione della precedente e di quella che la seguirà, in un eterno processo che si nutre della sua stessa esperienza, anno dopo anno. Sì perché non è detto che tutto ciò, da solo, sia garanzia di successo: anche il contadino sbaglia. Non sempre la natura collabora, anzi spesso è ostile. Errori e calamità però sono un bagaglio di esperienza che invece di abbatterlo, rendono il nostro più scaltro, furbo; oculato nelle scelte, infallibile nelle previsioni, scafato nei giudizi e intuitivo nelle scelte.
Non mi faccio l’augurio che Thohir si riveli uno spendaccione ambizioso. Mi auguro invece che sia un contadino che si sia imbarcato in un’avventura in terre lontane.

Eudoro il Mirmidone

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