Bauscia Cafè

La Passione di Palacio

Dopo una settimana in cui il calcio italiano ha mostrato i suoi bei muscoli oliati proponendoci scandali scommesse, curve chiuse per razzismo verso le forze dell’ordine e condanne al gabbio per stimati ex-dirigenti, l’escalation di estetismi si completa – sublimandosi – col derby di Milano, posticipo domenicale della 17esima giornata.

Di fronte la sesta contro la tredicesima in classifica, per una sfida che nelle aspettative ricorda i migliori Maceratese-Fermana. Allegri,

L'uovo di Mazzarri
L’uovo di Mazzarri

perfettamente in linea col clima festivo, si presenta a San Siro (tutto esaurito per l’occasione) con l’albero di Natale; dall’altra parte, invece, Mazzarri va controcorrente e schiera l‘uovo di Pasqua, preferendo la resurrezione alla nascita. Scelte ambiziose per il tecnico nerazzurro, che rinuncia a sorpresa al libero dietro ai tre marcatori e anche al funzionale muro in cartongesso provato in settimana al posto di Palacio.

Mentre Mazzarri fa lo spregiudicato, il suo rivale e (quasi) concittadino dà sfogo alla fantasia e si inventa una formazione che vede scendere in campo insieme, in un derby di Milano, Constant, Zapata, Muntari, Poli e Saponara, dimostrando in effetti capacità creative fuori dal comune.

Con queste premesse, lo spettacolo non può che essere travolgente. Pronti-via e infatti Cambiasso mette un piede in bocca a De Jong, mentre Zapata si esibisce in una furiosa litigata col pallone al limite dell’area. Dopo i primi minuti di iniziale aggressività, durante i quali l’emozione più forte è comunque rappresentata dall’inquadratura che mostra il nuovo taglio di Rolando, l’Inter lascia l’iniziativa al Milan e si rintana nella propria metà campo, cercando di ripartire in contropiede servendo l’ubiquo Palacio. Il centravanti argentino, ormai assurto allo status di eroe biblico, si cala al meglio nel modulo pasquale del suo allenatore e sperimenta la Passione, percorrendo una personale Via Crucis nella quale, tra indicibili sofferenze, porta sulle spalle la croce dell’attacco interista.

Se l’Inter si limita a difendere, il Milan non fa molto per vincere la partita. Lo sterile possesso palla (concesso comunque deliberatamente dai nerazzurri) non produce niente di più di un bello spunto di Saponara e un tiro piuttosto goffo di Kakà, gettandosi sul quale Handanovic mostra di non stare attraversando un grande periodo di forma. Le altre occasioni nelle quali il Milan si rende pericoloso, infatti, scaturiscono tutte da incertezze del portiere sloveno, che dopo un’uscita avventata su un corner lascia addirittura la porta sguarnita: Poli, adeguandosi senza grosse difficoltà alla cifra tecnica della serata, sparacchia in malo modo sopra la traversa con una ciabattata che non si vedeva dai tempi di Bruno N’Gotty.

In questa fase il Milan ci prova con una certa insistenza, ma la palla non vuole saperne di entrare; in realtà, visti i piedi che la toccano, non vuole saperne di fare niente, probabilmente neanche di rimanere in campo. Potesse, scapperebbe fuori dallo stadio e si farebbe mordere e smembrare dal primo cagnone bavoso che gli si parasse davanti.

Ogni tanto, l’Inter riesce a mettere il naso fuori dalla propria metà campo, rendendosi anche vagamente pericolosa. La pochezza difensiva del Milan è evidente, ma sembra difficile riuscire a sfruttarla con un solo uomo offensivo (e mezzo). Vietato, però, sottovalutare le individualità in campo: ecco infatti che, al 41esimo, Zapata sfodera una delle giocate che l’hanno reso celebre e travolge Palacio in piena area con un intervento da tergo. E’ un rigore colossale, ma Mazzoleni, forse restio a spezzare un così soave equilibrio, decide che è tutto regolare e lascia ancora aperto il dibattito sull’identità del rigorista dell’Inter, figura mitologica di cui, finora, si è udito solo nelle leggende.

Pochi minuti dopo termina il primo tempo, proprio mentre Muntari tenta di asportare il malleolo a Jonathan. I giocatori tornano negli spogliatoi per riordinare le idee, mentre gli spettatori possono finalmente tirare un sospiro di sollievo e godersi un quarto d’ora di pace. Mazzarri manda a scaldare Kovacic, Icardi e anche il muro in cartongesso, che potrebbe tornare utile per spaccare la partita; nel frattempo, durante la proiezione degli highlights del primo tempo, migliaia di palloni in tutto il mondo – scioccati dalle barbarie apparse sugli schermi – tentano il suicidio facendosi esplodere, tuffandosi in cespugli di rovi o lanciandosi direttamente sui piedi di Constant.

Il secondo tempo si apre allo stesso modo del primo: dapprima un’Inter aggressiva, poi il Milan comincia a guadagnare campo e cerca di creare qualche problema alla nostra retroguardia, comunque molto attenta. Nei primi dieci minuti Balotelli è molto attivo, ma Handanovic si fa trovare pronto; il ritmo però sembra ulteriormente calato, e “tutto esaurito” diventa non solo il risultato del botteghino ma anche lo stato d’animo di molti degli spettatori.

Al decimo, finalmente, Mazzarri manda in campo Kovacic, che mostra subito di meritare la panchina facendo sparire il pallone tra due avversari e causando l’ammonizione di De Jong. Basta l’ingresso del croato per far indietreggiare il Milan, che inizia a palesare i segni di una condizione fisica in netto calo: in particolare, i centrocampisti non riescono più ad accompagnare l’azione, Kakà sparisce completamente dal campo e Saponara scava una buca sulla trequarti e ci si nasconde dentro in attesa di tempi migliori. Quando al 24esimo il muro di cartongesso sotto le sembianze di Kuzmanovic fa a sorpresa il suo ingresso in campo al posto di Zanetti, la partita cambia definitivamente: l’Inter prende in mano ciò che resta del centrocampo e il Milan, spaccato in due, non riesce più a difendersi. Allegri, leggendo perfettamente la situazione, mette dentro Matri e toglie ulteriore densità alla mediana.

Iniziamo a creare diverse occasioni, pur se in modo piuttosto confuso: in particolare ci provano ripetutamente Nagatomo ed il cartongesso-Kuzmanovic, con Abbiati che salva come può. Dopo una mischia furibonda nella quale Palacio sfiora due volte il gol del vantaggio, Mazzarri capisce, dopo 80 minuti giocati contro i morti, che una partita del genere è possibile pure vincerla, e mette dentro Icardi per Cambiasso, con Nagatomo che prende la fascia di capitano. A questo punto, portare a casa un derby con Nagatomo capitano diventa un’occasione troppo ghiotta per farsela scappare, e la squadra pare accorgersene.

84esimo: Balotelli punta Juan Jesus, che lo ferma senza alcun problema, col 45 che però inizia a rotolarsi in terra e a frignare per qualcosa di imprecisato. Recuperata la palla, inizia una delle più lente ripartenze della storia del calcio: in quaranta secondi, durante i quali Kovacic si permette anche di traccheggiare da fermo sulla linea del centrocampo, l’Inter ribalta il fronte e si porta sulla trequarti offensiva. Jonathan verticalizza per Guarin, che riesce a crossare in mezzo: sul pallone rasoterra si avventa il Redentore che, dopo 85 minuti di commoventi sacrifici, sfodera un colpo di tacco pazzesco che si infila nella porta di Abbiati per l’1-0.

RO DRI GO - PA LA CIO
RO DRI GO – PA LA CIO

Il Milan, colpito dove fa più male, non riesce a reagire: gli ultimi minuti scorrono relativamente tranquilli, tra due squadre che ormai hanno ben poco da dirsi. Muntari, negli istanti finali, riesce anche a farsi espellere, prendendosela misteriosamente col povero cartongesso Kuz che passava di lì senza colpa alcuna; gran colpo del fuoriclasse ghanese, che impreziosisce una partita giocata in punta di fioretto uscendo bestemmiando e battendosi i pugni sul petto con mascolino vigore.

Al fischio finale si libera un grosso grido di gioia e di sollievo, che ci manda al cenone natalizio coi tre punti in tasca ma anche con la consapevolezza della brutalità dello spettacolo offerto in serata. Lo show, però, non finisce qui: c’è tempo anche per i pianti del dopo gara, con Balotelli che fa il brillante su Twitter e Allegri che frigna per il mancato fallo su Mario, per il rigore di Nagatomo e per quella volta che i ragazzacci del circolo l’hanno fregato a tresette.

Si chiude così quello che è stato probabilmente il più brutto derby che io abbia mai visto. Si può prenderla in tanti modi: c’è chi se ne frega altamente e gode per i tre punti, chi è rimasto inorridito e non si è goduto quasi niente, chi da buon realista ricorda che abbiamo solo battuto la tredicesima in classifica eccetera eccetera.

Io, da parte mia, penso a Nagatomo capitano.

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