Bauscia Cafè

Voi dell'Inter dovete stare zitti

State ancora bestemmiando? Avete cambiato sport? O neanche Gervasoni è riuscito a scalfire la vostra incrollabile speranza di un calcio normale? Beh, in attesa di capire quanto ancora ci prenderanno per il culo dandoci anche teneri bacetti sulle guanciotte, andiamo a vedere cosa diceva Massimo Moratti dopo il 2-2 di San Siro contro il Cagliari, durante il girone di andata: l’Inter aveva da poco espugnato il Ladri Stadium, per poi subire la sconfitta di Bergamo grazie a un rigore a dir poco generoso concesso da Damato e trasformato da Denis, anche domenica bestia nerissima per i nostri colori; nel match contro il Cagliari invece era stato l’arbitro Giacomelli a negare un penalty ENORME all’Inter al novantesimo minuto, per fallo su Ranocchia.
Questa la reazione a caldo del presidente (intervista tratta da Inter.it):

È inevitabile iniziare dall’arbitraggio.
“Essendo stato determinante per il risultato della partita credo non sia solo inevitabile ma credo che da parte nostra, di tutti, e da parte mia in particolare visto che sono io che parlo c’è un certo ’risentimento’ dovuto al fatto che è la terza partita di seguito che ci ritroviamo con delle sviste arbitrali sempre contro di noi e un atteggiamento che comunque anche durante la partita è certamente non a favore della società e della squadra. Dico della società perché ho già vissuto queste situazioni e non vorrei ritrovarmi ancora dopo tanti anni nella stessa situazione di allora”.
Inizia ad avvertire un clima simile?
“Ma come inizio ad avvertire… è la terza partita… con la Juventus abbiamo vinto per grazia di Dio, ma non certo dell’arbitro. Con l’Atalanta il gol decisivo è venuto fuori da un rigore che non c’era e il dubbio sta tanto per fare piacere alla classe arbitrale e oggi c’è stata una situazione veramente assurda. Possiamo avere i commentatori televisivi che si divertono dopo la loro grande esperienza juventina a fare finta che non sia rigore, ma se non è rigore questo qui lo mettano pure a dire quello che vogliono e non mi interessa più seguirli né a me né a nessun interista. Questo, chiaramente e siccome mi sono stufato perché dopo tre partite è tanto, lo dico”.

 
Per l’Inter quello fu l’inizio della fine, sportivamente parlando, tra sconfitte assurde, prestazioni sempre più incolori ed altre indecenze arbitrali più o meno penalizzanti che, malgrado tutto, pesano sul bilancio attuale in classifica almeno per 10 punti, con tutto ciò che ne consegue.
E quella era un Inter ancora potenzialmente pericolosa, a 4 punti dalla vetta e ancora ignara del destino nefasto che l’avrebbe attesa da lì a poco.
Ma è soprattutto l’aspetto comunicativo a colpire. Dopo quelle dichiarazioni, la società Inter si è come accartocciata su se stessa, nel tentativo di barcamenarsi tra pseudodenunce e scrollate di spalle dal retrogusto politico, fino all’ultimo disastro di ieri: personalmente ritengo inutile l’urlo ad intermittenza o la discesa in trincea tramite terzi (no, non Giulio, per carità…).
E altamente dannoso, perché controproducente e poco credibile.
Se lotta mediatica deve essere, che sia fatta con criterio, assumendo una posizione contraria precisa e stoica, prendendo la dovute distanze dai tanti, troppi buffoni della carta stampata, cercando di sfruttare al meglio i mezzi a propria disposizione (limitati rispetto alle dirette concorrenti, per capillarità e diffusione, ma pur sempre utili e potenzialmente molto concreti nel veicolare un certo tipo di messaggio) e mentenendo al tempo stesso il contegno necessario, purché non diventi un atteggiamento fantozziano.
Parole semplici ma dirette ed affilate centrano il bersaglio molto più di sparate random fatte una tantum ad uso e consumo del primo scribacchino che le raccoglierà per sbavarci sopra pensando alla perenne crisi Inter e cavalcando l’onda dello spogliatoio in frantumi.
Apprezzo da sempre la sobrietà dei nostri colori anche nei momenti di rigetto di un sistema che, in pochissimo tempo, è riuscito a tornare più forte di prima e, se possibile, ancora più strafottente di un tempo. Il problema è che l’Inter avrebbe dovuto tenerlo ben presente da sempre, senza lasciarsi illudere dallo specchietto per le allodole chiamato Calciopoli, che ha finto di cambiare tutto per non cambiare assolutamente nulla.
I nomi son lì a portata di mano, controllare per credere.
Snobbare il colossale rigore di Chiellini su Cassano per poi dichiarare che ci sia malafede la domenica seguente può soddisfare la pancia del tifoso incazzato (a caldo ha soddisfatto anche me, per dire) ma fa il solletico a chi la lotta di potere la gestisce dall’alto da sempre.
E’ proprio in tal senso che, parallelamente alla ricostruzione tecnica, credo sia più che mai necessario non abbassare la guardia, attuando una scelta definitiva sulla posizione da prendere nei confronti del Palazzo® e del duopolio che tutto fagocita.
Altrimenti dovremmo davvero stare zitti. Ma definitivamente, isolandoci da tutto e da tutti, limitandoci al minimo imposto dagli accordi con i media e nulla più.

"Ma ndo cazzo stamo?"
“Ma ndo cazzo stamo?”
Detto questo, potremmo anche fare un tentativo di commento a quello scherzo di Carnevale in grave ritardo andato in scena a San Siro: il caro signor Gervasoni, che con quel cognome non mi permetterà mai più di godermi appieno la gag di Aldo, Giovanni e Giacomo della Tv Svizzera, la sa lunga e non è un caso che ormai anche gli arbitri meno scafati possano tranquillamente modificare l’andamento di una partita dell’Inter senza temere alcuna conseguenza negativa.
E possono farlo in mille modi diversi: dall’ammonizione mirata all’impunità avversaria, fino ad un rigore talmente inventato che Archimede Pitagorico pare stia ancora rosicando.
Più un paio a nostro favore ovviamente negati, ma a quello ormai abbiam fatto il callo (no).
Molti si sono appellati al fatto che passare da 3-1 a 3-4 in casa contro una modesta Atalanta sia comunque ingiustificabile, ma il concetto di “inerzia della gara” (illustrato in modo esemplare da Alberto Di Vita nel suo ultimo post su Fabbrica Inter – http://www.fabbricainter.com/2013/04/08/inter-atalanta-3-4-parlare-di-calcio/) non è un qualcosa di astratto e di fantascientifico, bensì un aspetto concreto e spesso decisivo nell’arco dei 90 minuti, e l’arbitro ne è variabile spesso decisiva: i limiti di questa Inter sono ben noti, e la tenuta psicologica era già stata messa a dura prova in momenti nei quali la stagione sembrava ancora rimediabile e la rosa consentiva persino un minimo di turn-over.
Domenica, nei primi 60 minuti e con una formazione dettata dalla rassegnazione, l’Inter, seppur con un pò di confusione e qualche equivoco tattico di troppo, aveva gestito alla grande quella che sembrava una serata tranquilla, tre punti fatti di grande dignità e della resurrezione dei grandi assenti di sempre, Rocchi e Alvarez.
Quella stessa dignità che il signor Gervasoni sembra non conoscere: al contrario, c’è della perfidia molesta in quel rigore concesso per non-fallo di Mahchissà su Nonstavoguardando, mentre l’avversario si avviava a battere un corner. Una perfidia deleteria per una squadra come la nostra, troppo fragile per abbozzare una reazione.
Quello è l’intervento definitivo sulla dannata inerzia: una invenzione arbitrale riconsegna nelle mani di una squadra già sconfitta il match, mentre dall’altra parte un allenatore bravo ma ingenuo impreca per dieci minuti alla ricerca di una verità che non gli è concessa ed in campo la bambola non è quella di Patty Pravo, ma della squadra tutta.
L’Inter non è più forte degli episodi. Certi arbitri sì. E qualcuno, nella stanza dei pulsantoni colorati, è ancora più forte di tutto il resto e se la ride di gusto, tirando le fila e muovendo i tanti pupazzi che infestano questo sport che ormai di sportivo ha soltanto la definizione sul vocabolario. Per tutto il resto ci sono i tweet di Fabio Ravezzani, qualora ve li foste persi.
Non credo ci permetteranno di giocare a pallone da qui a giugno, o forse sì, dal momento che ormai siamo totalmente inoffensivi e, da ieri, anche isterici e piangina.
Non credo neanche sia giusto far giocare la Primavera nel segno di una protesta che verosimilmente non avrà seguito.
Molto meglio provare a dare inizio ad una rivoluzione silenziosa (o anche urlata, se lo si preferisce) ma concreta, senza più cercare di tenere il piede in due staffe, magari anche lasciandosi andare a qualche sano vaffanculo di petto, se utile alla causa.
Una società pugnace per un Inter che possa andare in campo tentando di vincere, pareggiare o perdere per meriti o demeriti propri, senza che qualcuno si senta talmente intoccabile da poter decidere, forse perché annoiato da una partita ormai chiusa, di riaprirla a piacimento.
Ricominciamo a combatterla, questa dannatissima battaglia.
O rassegnamoci a far da spettatori al Grande Circo di Plastica e scendiamo in campo col Supertele, almeno ci facciamo due risate.

NicolinoBerti

Coglione per vocazione, interista per osmosi inversa dal 1988 grazie a un incontro con Andy Brehme. Vorrei reincarnarmi in Walter Samuel, ma ho scelto Nicola Berti per la fig...ura da vero Bauscia.

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