E’ davvero paradossale quando, leggendo il calendario, vedi l’ennesima “piccola” arrivare a San Siro e senti scorrere un brivido lungo la schiena: troppe le delusioni patite negli ultimi tempi per fantasticare su goleade scacciapensieri, tre punti sicuri e prestazioni da schiacciasassi; si ha invece un persistente, sinistro dubbio, da sintetizzarsi in un concetto semplicissimo quanto basilare nel calcio, quello del “e adesso come la sblocchiamo?”.
L’Inter di Stramaccioni è squadra incompleta, lo sappiamo tutti, e la costante mancanza di profondità è una debolezza che, contro squadre abbottonate e tatticamente bloccate, abbiamo troppo spesso pagato a carissimo prezzo: tendi ad eccedere, a scoprirti nel vano tentativo di segnare il dannatissimo gol del vantaggio, ma il fiato è corto, le distanze tra i reparti vanno a farsi friggere e l’imbucata avversaria arriva puntuale come quando c’era lui e i treni sì che arrivavano in orario.
Un canovaccio da evitare come la peste in questo girone di ritorno, a cominciare dall’insidioso match contro il Pescara, formazione rivitalizzata dalla cura Bergodi e capace di maramaldeggiare in quel di Firenze non più di una settimana fa: stavolta però il benevolo Dio del Calcio ha pensato di farci finalmente vivere un sabato sera sereno, quasi rilassante, a tratti persino molto divertente. Non è stata un Inter trascendentale, e la melassa della prima mezzora ha sottolineato una volta di più i costanti limiti in fase di cambio del ritmo e verticalizzazione, fondamentali in partite del genere.
A pensarci bene la prestazione offerta ad Udine non è stata così distante da quanto visto contro gli abruzzesi, tra controllo agevole del gioco e buone occasioni da gol: solo che sabato sera, invece del terzino brasiliano imbalsamato che ciabatta a tre metri dalla porta, c’era un Palacio finalmente lucido (splendido il movimento a liberarsi della marcatura avversaria in occasione del vantaggio) e una squadra che non ha mai smarrito la bussola ed ha continuato a far gioco, sfruttando i suoi uomini migliori e ritrovando la corsa di Pereira e Jonathan (sì, quello imbalsamato di cui sopra), gli spunti di Cassano, la voglia di spaccare il mondo e la partita di Guarin.
Soltanto Chivu riesce a farmi spendere le consuete bestemmie per qualche svarione che avrebbe potuto resuscitare un Pescara mai in partita, ma fortunatamente Silvestre e il Cuchu stavolta hanno la concentrazione necessaria per ovviare agli atavici limiti del rumeno in fase difensiva.
Avversario non irresistibile, diranno i miei piccoli lettori: esticazzi, risponderò io, sempre attento alle esigenze del mio pubblico. Dopo aver lasciato punti assurdi a compagini del calibro di Siena, Genoa e Cagliari, una partita come questa è un vero toccasana per chiunque voglia bene all’Inter. Handanovic inoperoso, risultato mai in discussione, nuovi acquisti sugli scudi e quel giovanotto di nome Benassi a rifulgere di luce propria in un centrocampo dal perenne deficit di stamina. Prova gagliarda e concreta, quella del diciottenne modenese, un prospetto sul quale lavorare con la calma e la tranquillità di chi sa di avere tra le mani un elemento valido e talentuoso, da aiutare nella crescita senza disperderne il valore con paragoni scomodi ed inutili o esposizioni mediatiche che non ci appartengono.
E’ il simbolo dell’Inter che verrà, ma anche dell’Inter che serve: polmoni e piedi buoni, per rifondare un centrocampo dove persino un esordiente è in grado di evidenziare l’abnorme differenza tra chi può macinare chilometri senza avere la vista appannata e chi, invece, deve trascinarsi stancamente all’inseguimento dell’avversario di turno.
In mezzo al guado del mercato di gennaio, tra sconcertanti telenovelas turche in nome del denaro sonante, conti da far quadrare e grotteschi duelli con i cugini su qualsiasi nome venga gettato in pasto alla stampa, ci sono tre punti sacrosanti che restituiscono ossigeno alla squadra e ci riavvicinano al nostro obiettivo.
Roma ci dirà se siamo pronti a lottare fino alla fine, magari recuperando le troppe pedine perse per strada tra squalifiche demenziali e infortuni difficili da smaltire.
E, come dice Zeman in uno degli spot più azzeccati dell’ultimo decennio, daje!