Bauscia Cafè

Heroes (letto con accento scozzese)

“Beato il paese che non ha bisogno di eroi”, diceva Bertolt Brecht. Ma noi gli eroi ce li abbiamo, che ci possiamo fare. Il nostro paese non avrebbe certo bisogno di essere difeso da alcunché, tale è la stazza etica, morale e sociale che lo contraddistingue. Però, nonostante questo, sul suolo italico continuano a svelarsi mirabili condottieri, coraggiosi guerrieri e valorosi paladini, pronti ad immolarsi pur di proteggerci e tenere alto l’onore della patria. Non c’è scampo per chi infanga il buon nome dell’Italia, per chi si azzarda a toccare il nostro popolo.
Come dimenticare il contributo dato alla nazione da messer Francesco da Roma? Non si è forse acceso in voi il fuoco patriottico, vedendo er Gabidano rispondere in quel modo, in punta di fioretto, ai deprecabili insulti rivoltigli da Poulsen, sette anni fa? L’eleganza italica di fronte alla sbruffonaggine scandinava, il principe contro il becero, il do di petto contro il rutto alla salsiccia. Non è certo comportandosi così che i nordici riusciranno a cancellare gli scontati cliché sul loro conto. Bravi, danesi, rinunciate a crescere, continuate così, con i vostri biscotti e le vostre zuppe di merda.
E che dire di quando il nostro sconfisse il fottuto negro, proprio nella finale della coppa che porta il nome della patria? Dite un po’, a voi non girerebbero ad elica se il primo scimmione appena sbarcato si azzardasse ad offendere l’intero popolo di Roma, la cazzuta città eterna? Quel popolo che, per dire, ai negri il culo glielo faceva già duemila e duecento anni fa, ad Annibale e tutta la sua banda di bingo bongo.
Non vi siete forse alzati in piedi avvolti in una bandiera targata SPQR, ciucciando latte dalle mammelle di una lupa incinta, quando dal destro di Frangè si è levato il calcione che cancella incubi e ingiustizie? Ha cancellato tutto, con quel destro, ha salvato la faccia di un’intera città, che infatti la domenica dopo è accorsa in massa per ringraziarlo, mentre saltellava giocondo attorniato d’infanti.
E tante altre ne ha fatte, il nostro eroe, ma mi sembra quasi irrispettoso dilungarmi troppo su di lui, togliendo spazio ad un altro straordinario arciere dell’italico orgoglio, la principale prova della bontà del lavoro di Darwin. Lo si aspettava al varco, GattuZoo (cit.): tutti noi sapevamo di cosa fosse capace, tutti noi sapevamo quanto fosse pronto a guadagnarsi un bel medaglione sul campo, ma ancora non ci aveva mostrato tutto quel che sapeva fare. Dico “aveva” perché, ieri, finalmente questo momento è arrivato: e quale occasione migliore, se non una partita in mondovisione, per giunta nell’anno del centocinquantenario dell’unità d’Italia, per mostrare al mondo il proprio virile patriottismo?
Stavolta, dopo il rozzo danese e il negro olezzoso, è toccato all’usurpatore albionico civettare fregnacce a sproposito riguardo il nostro paese. E Gennaro, che doveva fare? Starsene lì, fermo, mentre quello provocava e provocava?
Ringhio, noto saputello, ha addirittura cercato di mediare tramite l’uso dello scozzese, lingua che notoriamente mastica, ma niente, lo scimmione pelato ha rincarato la dose. Quando Gattuso ha cominciato a parlagli in gaelico, poi, Jordan ha sbroccato di brutto, dicendogli che a Corigliano Calabro le femmine hanno i baffi e che una volta si è scaccolato dentro ad una soppressata. Ed ecco che Gennaro, da degno capitano, si è tirato su le maniche e gli ha dato una bella lezione, salvandoci ancora una volta dall’onta di una figuraccia internazionale. E’ con immagini come quelle, con Ringhio nudo e schiumante rabbia dopo aver abbaiato verso un’intera panchina e menato un vecchio, che vorremmo che tutte le partite terminassero.
Dai e dai, l’avranno capito, ‘sti stranieri della mia fava, che a toccare l’Italia si finisce male. Cosa devono fare di più i nostri guerrieri, per tappargli la bocca?
Fortuna che ci sono ancora persone come Gattuso e Totti, che prima di ogni altra cosa mettono l’onore e lo spirito di appartenenza. E’ grazie a voi che, all’estero, posso permettermi di girare a testa alta e posso, senza alcun dubbio, imputare ai poco performanti breweries stranieri quel leggero sentore di urina nella mia birra.
Non per contraddire Brecht, ma finché ci saranno in giro eroi di questa risma, mi sentirò decisamente più tranquillo.

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