Bauscia Cafè

Siamo di nuovo in ballo. E siamo pronti a ballare.

La partita con la Roma è coincisa con il primo mese sul campo di Leonardo. Dal 6 gennaio al 6 febbraio, un mese esatto nel quale l’Inter ha giocato 10 partite: otto vittorie, un pareggio (trasformato in vittoria ai rigori) e una sconfitta. In campionato 21 punti conquistati sui 24 in palio. Numeri che mancavano da troppo tempo.
Alle 20.30 del 6 gennaio scorso, prima della partita con il Napoli, l’Inter era virtualmente a -16 dal Milan con tre partite in meno. Oggi la classifica dice -5 con una partita in meno. 11 punti rosicchiati in un mese grazie a due partite in più e, soprattutto, grazie a una media di 2.62 punti a partita contro 1.86 del Milan. In questo mese l’Inter ha conquistato l’87,5% dei punti a disposizione fermandosi solo a Udine, mentre il Milan non è riuscito ad andare oltre il 62%, ritrovandosi con soli tre punti di vantaggio sul Napoli e con il fiato sul collo di quella macchina da guerra ammirata nell’ultimo lustro che sembra essere stata messa a nuovo da Leonardo.
Una metamorfosi impressionante rispetto al recente passato, non c’è che dire. Una metamorfosi nella quale sicuramente Leonardo ha giocato un ruolo importante sia dal punto di vista psicologico e delle motivazioni, fin troppo evidente, sia dal punto di vista tattico, laddove è bastato portare un po’ di logica, un centrocampista in più e uno sviluppo più veloce e “verticale” del gioco per riportare questi risultati ad Appiano Gentile. Ma non è solo questa la differenza con il breve interregno di Benitez.
Ripensando a quell’Inter e a questa, ripensando alle differenze, la mia attenzione continua a soffermarsi su una serie di nomi. Julio Cesar, per esempio: quasi sempre assente con Benitez, ha solo forzato (inutilmente?) i tempi per giocare il Mondiale per Club e poi è rimasto fuori di nuovo. Rientra con Leonardo e in tre partite para un rigore a Pastore e toglie con un piede una palla già in porta, poi tira via dall’incrocio una punizione di Almiron, infine nega il gol a Vucinic e Menez con tre miracoli in trenta secondi. Palermo, Bari, Roma: tre partite in cui, dopo troppo tempo, la media di gol subiti a partita è scesa sotto quota 2. Quantificare i punti che un portiere come Julio Cesar porta in un campionato è impossibile, ma queste tre partite hanno chiarito -a chi ne avesse bisogno- il ruolo fondamentale che il numero uno brasiliano ha sul campo.
E a proposito di brasiliani, cosa dire di Maicon? Dopo una serie irritante di inconcludenti passeggiatine, dal 6 gennaio anche lui è tornato a fare la differenza come l’anno scorso. Pronti-via, e nell’area avversaria è ricominciata a piovere una serie impressionante di palloni dalla fascia destra: assist per Cambiasso, suggerimenti per Eto’o, cross per Pazzini. E tiri, tanti tiri, tanti da far pensare che ormai sia giunto il tempo di scrivere anche il suo nome nel tabellino dei marcatori. Scommettiamo? Per un Lucio e un Samuel che se ne vanno c’è un Thiago Motta che gioca con una continuità mai vista prima.
Soprattutto, fra i nomi “nuovi” di questa Inter finiti nel dimenticatoio per sei mesi, c’è quello di Wesley Sneijder. Incomprensioni caratteriali e -soprattutto- tattiche con il vecchio allenatore avevano finito con l’offuscare la sua stella, fino all’assurdo infortunio patito nei primissimi minuti del Mondiale per Club. Una stagione maledetta, sembrava, tanto da portarlo a perdere un Pallone d’Oro che a luglio sembrava già sul suo caminetto. Passa l’infortunio e ritorna in campo Wesley Sneijder: l’Inter non riesce a sbloccare il risultato in un San Nicola che si sta rivelando più insidioso del previsto, ma quando la squadra rivede il suo numero 10 -quello vero, non quello di un mese prima- tutto ricomincia a girare. 0-3 e gol di Wesley, trasferimento a Milano, pronti via e un controbalzo di sinistro piazza la palla sotto l’incrocio alle spalle di Julio Sergio. Ma gira tutto meglio, con Sneijder. E Sneijder stesso gira meglio, con quelle due opzioni di passaggio e tutti quei centrocampisti che gli spuntano di fianco. Torniamo un attimo a Bari: dopo il gol di Kharja la partita vive i suoi ultimi concitati minuti. Palla ai biancorossi a centrocampo, arriva proprio Sneijder da dietro e la ruba. Appoggio a Ranocchia, profondità per Pazzini: contropiede, 0-2, pratica chiusa.
Ecco, appunto: Kharja, Ranocchia e Pazzini. Gli altri tre nomi che prima del 6 gennaio non c’erano e oggi sì. Il primo è l’alternativa che mancava a centrocampo: ordinato, tecnico, pericoloso in area. Una riserva silenziosa e letale. Il secondo è il difensore centrale del futuro, di un futuro che è già presente a causa di infortuni imprevisti: elegante, imperioso, concentrato, glaciale. Capace di calarsi in una realtà nuova, inaspettata e immensamente grande e di prenderne le redini in 40 minuti. Ranocchia gioca con Materazzi, Lucio e Cordoba, in un turbinio di compagni che manderebbe in tilt chiunque. Non lui: lui guarda negli occhi i suoi nuovi compagni e la sua nuova squadra e in silenzio, senza presunzione, prende il comando delle operazioni. Con una sicurezza preoccupante, per gli avversari. E poi c’è quell’altro, quel numero 7 lì. Quello che si presenta a San Siro al minuto 45 con la squadra sotto di due gol e prende palla spalle alla porta, si gira, fa un terzo tempo, salta più in alto di tutti, scatta in profondità e subisce fallo da difensori disperati. Tiralo tu, Samuel: anche questa l’abbiamo portata a casa.
Julio Cesar, Maicon, Ranocchia, Kharja, Sneijder, Pazzini. E chissà, magari anche Nagatomo. Questi ragazzi, insieme a Leonardo, hanno preso l’Inter a -16 e l’hanno portata a -5 in 30 giorni esatti. E ora, di fianco al loro compagno Eto’o, sono in viaggio verso Torino, verso un campo sul quale non vinciamo da troppo tempo, verso una trasferta contro i rivali di sempre che si giocherà probabilmente quando i punti di distacco dalla vetta saranno 8.
Già, 8 punti di ritardo. Potrebbero sembrare un’enormità, ma sono la metà di quelli che erano quando sono arrivati loro. Quando sono tornati loro.
Leggere certe dichiarazioni da parte di chi solo la stagione scorsa ha vinto tutto fa oggettivamente impressione. “Siamo tornati”, “c’è lo spirito dell’anno scorso”, “siamo forti come prima”.
Quando chi ha già vinto tutto si permette di dire “possiamo vincere tutto”, il segnale è forte e preoccupante. Per gli altri.
Noi siamo di nuovo qui, e domenica ritroviamo la Juventus e quella trasferta che sta diventando un tabù. Quelli davanti a noi hanno paura, e fanno bene. Paradossalmente, il tempo è ormai dalla nostra parte.
Bentornati, ragazzi.

Nk³

Il calcio è uno sport stupido, l’Inter è l’unico motivo per seguirlo. Fermamente convinto che mai nessun uomo abbia giocato a calcio come Ronaldo (ma anche Dalmat non scherzava). Vedovo di Ibrahimovic, ma con un Mourinho in panchina persino i Pandev e gli Sneijder possono sembrare campioni. Dategli un mojito e vi solleverà il mondo.

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