Bauscia Cafè

De allenatore


L’indimenticabile scena in cui Mou apre l’ombrello prima che venga a piovere mi sembra la quintessenza della sua personalità. Quella che aveva sedotto Moratti già prima che il portoghese scegliesse il Chelsea, e che oggi lo porta a Madrid, ancora più ricco di soldi e di “stimoli”, consapevole di correre un gigantesco rischio: abbandonare una squadra vincente per una che non ha mai saputo perdere.
Lo scrivo per l’ultima volta: Mou potrà anche vincere al Real, anzi è obbligato a farlo, ma non può far finta di non sapere che le Merengues sono il Potere, l’Istituzione, la Prosopopea incaranta dai Florentino Perez, a differenza di Inter, Chelsea e Porto, che dovevano fronteggiare club più potenti. Fatti suoi, comunque. Del resto, ha ammesso di aver cominciato a pensare al Real già 4-5 mesi fa (e prima o poi sapremo quando è avvenuto il primo contatto fra Jorge Mendes e gli emissari madridisti).
Si troverà un accordo, nessuno perderà la faccia, le clausole rescissorie sono fatte apposta per gestire le rotture, ed evitare che diventi una Guerra dei Roses. Se, poi, l’Inter riuscisse a scaricare Quaresma, o a farsi strapagare Maicon (puntando con decisione su Santon), tanto meglio. Il Real era, ai miei occhi, la squadra più antipatica del mondo – dai tempi della Quinta del Buitre e del miedo escenico, rinnovati dalla fuga notturna di Ronaldo – non diventerà certo più simpatica ora che ha Cristiano Ronaldo, Kakà e l’ottimo Mou.
Da tempo, Moratti è diventato post-ideologico. Incassata la clausola, finirà per aver pagato Mourinho come un Ranieri qualsiasi… Non è nemmeno sfiorato dall’idea dell’Inter Agli Interisti (sono lontani e spero irripetibili i tempi di Suarez, Corso e Marini sulla panchina nerazzurra). Moratti sa che ripetersi è difficilissimo, e non vuole un clone di Mou. Meno che mai un suo imitatore. Fosse libero, penso punterebbe su Guardiola. Leonardo mi sembra poco più di una suggestione (certo, ora che Berlusconi l’ha sputtanato con una delle sue uscite farneticanti, potrebbe aver voglia di dimostrare qualcosa). La sensazione è che si stia cercando uno spiraglio per mettere sotto contratto Capello o Hiddink.
Tutti sanno che Capello doveva arrivare all’Inter due settimane prima che scoppiasse Calciopoli (Moratti aveva già perduto fiducia in Mancini). Allora sarebbe stato un errore, domani chissà. Ma non vedo come la federcalcio inglese possa tollerare che il suo allenatore sia distratto durante il Mondiale. Oggi scommetterei su Hiddink.
Sulla figura dell’allenatore, consentitemi di citarmi (le “Confessioni di un interista ottimista” sono da tempo introvabili):

24b96762577fd6d49b0c3ad75373cee6_mediumIl più vittorioso fra gli allenatori di basket Nba dell’ultimo quarto di secolo, Phil Jackson, piaceva riunire i suoi migliori giocatori (fra cui Michael Jordan) in una stanza arredata con oggetti della cultura pellerossa; qui si metteva a leggere ad alta voce brani dal Libro della jungla, e preparava così le partite più importanti.
A certi livelli, il mestiere dell’allenatore diventa una questione psicologica, più che tecnica o tattica. Si tratta di gestire delle risorse umane, come dicono gli aziendalisti. Allenare vuol dire estrarre il meglio da ognuno, proteggere i giocatori dagli attacchi esterni, alimentare le speranze di chi vuole conquistare un posto
La difficoltà sta nel convincere una serie di individualisti a credere nel gioco di squadra, e questo può avvenire solo se vi vedranno la loro convenienza. Un buon allenatore sa che le motivazioni dei suoi uomini sono egoistiche: stare in campo il più possibile, segnare gol, avere più soldi e più successo. Trasformare queste aspirazioni in un impasto collettivo, può riuscire se il singolo acquista la consapevolezza che solo “attraverso i risultati del team può raggiungere i propri obiettivi personali” (sono parole di Ettore Messina, grande allenatore di basket). All’allenatore, inoltre, si chiede di fare da parafulmine, “tenere unito il gruppo anche a costo di averlo contro di sé… è importante avere poche regole ma che tutte, dalla prima all’ultima, siano rispettate”: queste, invece, sono parole di Velasco, il cui fallito trapianto dalla pallavolo non depone a favore dell’apertura mentale del mondo del calcio…
All’allenatore si chiede di insegnare tutto ciò che si può provare in allenamento – per esempio come comportarsi sulle “palle inattive”, da cui nascono almeno la metà dei gol – ma anche a reagire con prontezza di fronte alle situazioni impreviste. Non deve avere la pretesa di reinventare un gioco che, per sua natura, ha ben riassunto Cruyff, “consiste fondamentalmente in due cose. La prima: quando hai la palla, devi essere capace di passarla correttamente. La seconda: quando te la passano, devi saperla controllare”.
L’allenatore deve gestire i giocatori con equilibrio, senza teorizzare un egualitarismo smentito dalle diversità nel talento e nel carattere; la capacità di assumere responsabilità sotto pressione distingue un fuoriclasse da un calciatore normale.

Rudi

Rudi Ghedini, bolognese di provincia, interista dal gol sotto la pioggia di Jair al Benfica, di sinistra fin quando mi è parso ce ne fosse una.

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