Bauscia Cafè

Sogno e ossessione

È stato Josè Mourinho a usare per la prima volta queste due parole a proposito della finale di Champions. Ve lo ricordate?

Il sogno dell’Inter contrapposto all’ossessione del Barcellona. La loro disperazione, la loro assoluta necessità di vincere, la loro ossessione di alzare la Coppa nel cuore di Madrid, nella tana dei rivali di sempre. E dall’altra parte noi, divertiti, tranquilli, quasi rilassati, consapevoli di aver fatto già tutto il nostro dovere e all’inseguimento di un sogno che fino a pochissimi mesi fa chiunque avrebbe catalogato sotto la voce “utopia” senza pensarci un attimo. E invece eravamo lì, e ci siamo ancora.

Sogno e ossessione. Ancora una volta la contrapposizione si ripropone. Ci siamo sempre noi, con il nostro Sogno Europeo, mai così concreto, mai così leggero, mai così onirico. Ci siamo noi, travolti e stravolti dall’aura di José Mourinho e trasformati dal suo lavoro. Maledettamente competitivi, tremendamente convinti dei nostri mezzi. Ancora inebriati dal dolce sapore delle vittorie conquistate contro Chelsea e Barcellona, e nonostante questo pronti a giocarcela alla pari con un Bayern Monaco che sta vivendo probabilmente le nostre stesse emozioni. Noi e il nostro Sogno Europeo, noi e il nostro Sogno di fare un altro passo nella sala dei gioielli della Storia del football. Da una parte ci siamo noi, il Sogno è ancora il nostro. E dall’altra ci sono loro.

Dall’altra c’è il cameriere romanista che ti accoglie canticchiando “forza Bayern” con la voce tremante. C’è il tifoso juventino che mentre festeggiavi lo Scudetto iniziava a ripeterti ossessivamente “tanti, tantissimi auguri per sabato” (e ancora non ha smesso). C’è l’amico milanista che con gli occhi pieni di terrore fa “tanti complimenti all’Inter per aver vinto la Champions”. E guardandoli capisci. Capisci che dall’altra parte ci sono loro e la loro ossessione. La loro paura, il loro terrore. Un tarlo logorante. Non è come al solito, non credete: non lo fanno per esultare in caso di sconfitta, stavolta no. Stavolta sono decisamente oltre il classico ruolo da gufi. Stavolta sono terrorizzati.

Non saprebbero più cosa dire: sono passati da “non vincete mai” a “non vincete mai sul campo”, da “non vincete mai all’ultimo minuto” a “in Europa non fate una partita decente da anni”, da “in Europa comunque non contate niente” a “non ve la giocate da quarant’anni”. Ora gli è rimasto l’ultimo baluardo e non saprebbero come superarlo. Davvero, sono spaventati.

Sono disorientati: ci vedono al cospetto della Storia, in una partita che loro non hanno mai giocato e chissà se mai giocheranno. Non è una finale di Champions: è il biglietto di ingresso nell’Olimpo del football. Sono sgomenti al pensiero di vederci esultare ancora, e stavolta in maniera definitiva. Dall’altra parte ci sono loro e la loro ossessione.

Rieccola la dicotomia: Sogno e ossessione.

Il loro terrore e la nostra leggerezza.
Il loro terrore è la nostra leggerezza.

Forse troppa leggerezza: è questo l’unico appunto che mi sento di fare ad un tifo interista che sta vivendo la settimana più esaltante di oltre 100 anni di storia. L’esaltazione per ciò che potrebbe essere si trasforma, inconsciamente ma pericolosamente, in esaltazione per ciò che è. Senza pensare che ancora non è nulla.

Siamo “solo” Campioni d’Italia per la quinta volta consecutiva. Siamo in Finale di Champions ma non l’abbiamo già vinta, siamo a Madrid ma dobbiamo passare dal campo prima di poter salire nella Tribuna d’Onore del Bernabeu. E per salire in quella Tribuna dovremo sputare ogni briciolo di energia, dovremo lottare su ogni pallone, dovremo sudarci la vittoria prima ancora di conquistarla. Contro una squadra che non ci è certo inferiore, anzi: è come minimo al nostro livello.

Il Bayern Monaco si trova nella nostra stessa identica situazione. Ha vinto tutto quello che poteva, ha eliminato in maniera esaltate una strafavorita alla vittoria, si ritrova in finale un avversario che non ritiene (a torto? a ragione?) essere il peggiore possibile: la nostra stessa, identica situazione. Eppure la Coppa al cielo la alzerà soltanto uno.

Mark Van Bommel o Javier Zanetti: uno dei due sarà in trionfo, l’altro avrà clamorosamente sbagliato a ritenere l’avversario più abbordabile di altri.

E’ la partita di Louis Van Gaal e José Mourinho, la partita di due Squadre che hanno vinto tutto e che vanno incontro al loro destino: dolcissimo per una, inevitabilmente amaro per l’altra. E’ una partita strana, irreale dal nostro punto di vista, perché non abbiamo niente da perdere ma dovremo superare i nostri limiti. Dovremo superare la nostra pancia piena, dovremo superare quel muro che fermò anche la Grande Inter. E’ come noi dovrà superare i suoi limiti José Mourinho: lui, che il treble l’ha solo sfiorato; lui, imprigionato in una percentuale dorata ed inquietante.

Una partita nella quale la forza assoluta dell’avversario conta solo relativamente, perché in 90 minuti qualsiasi risultato è possibile, qualsiasi singola giocata può cambiare la storia del match, della Coppa, del Football.

Eppure tutto quello che dobbiamo fare è giocarla, questa partita. Semplicemente, con leggerezza. Dare il 100% di quello che abbiamo, non lasciare niente di intentato, cercare di portarla a casa e sperare di riuscirci. Giocando a calcio. Senza chiacchiere, senza polemiche, senza sospetti. Semplicemente giocando a calcio. Con la leggerezza di chi sa di aver fatto tutto quello che poteva. E senza ossessioni.

Quelle, ormai, sono tutte dall’altra parte.

Nk³

Il calcio è uno sport stupido, l’Inter è l’unico motivo per seguirlo. Fermamente convinto che mai nessun uomo abbia giocato a calcio come Ronaldo (ma anche Dalmat non scherzava). Vedovo di Ibrahimovic, ma con un Mourinho in panchina persino i Pandev e gli Sneijder possono sembrare campioni. Dategli un mojito e vi solleverà il mondo.

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