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Mourinho? L'ho già visto

C’è anche la suggestione del centenario della nascita di Angelo Moratti a favorire i ricorrenti paralleli fra la Grande Inter, quella che conquistò l’Italia, l’Europa e il mondo del pallone negli Anni Sessanta, e questa che il figlio Massimo sta a sua volta guidando a una prolungata età dell’oro, per ora circoscritta all’ambito nazionale, ma domani chissà. E ovviamente gli accostamenti si allargano ai rispettivi condottieri, due capitani di ventura dal ciclonico impatto mediatico e dalla controversa dimensione tecnica, dico il leggendario Helenio Herrera e lo Special One Josè Mourinho.
Helenio Herrera
Helenio l’ho conosciuto bene. Un rivoluzionario geniale. Prese un calcio che alla figura del tecnico dedicava uno spazio del tutto marginale e lo rivoltò come un calzino, facendo dell’allenatore il personaggio centrale dell’intera vicenda. E il più pagato. Diceva Nereo Rocco, che di Herrera era il rivale storico, che l’aveva battuto con il Padova provinciale e che poi lo fronteggiava nei derby allo spasimo di una Milano da bere, Nereo Rocco che tatticamente ne sapeva mille volte di più: “Quel mona di un Mago, ne racconta di monate, e voi a beverle tutte, ma noi allenatori dovremmo fargli un monumento, perchè da quando è arrivato lui ci pagano il doppio“.
Josè Mourinho
Figlio di Andalusi, nato in Argentina dove i suoi genitori, falegname il padre Paco, domestica la madre, erano emigrati per miseria, a tre anni sballottato in Marocco da un allucinante viaggio per mare, il piccolo Helenio vive facendo il pugile bambino a Casablanca, poi il calciatore, sin quando diciassettenne scappa a Parigi, strappa un ingaggio al Club Francais e arriva sino alla Nazionale militare. Frequenta le scuole serali e racconta sin da allora balle affascinanti. Schiva la guerra con un impiego alla Saint Gobain, diventa allenatore-giocatore allo Stade Francais, dove sostiene -con improbabili riscontri- di aver inventato il beton, il catenaccio. Si rivela, in compenso, un formidabile preparatore atletico, le sue squadre corrono il doppio delle altre, arriva ad allenare la Nazionale francese, che lascia perchè dalla Spagna lo raggiunge un’offerta sontuosa dell’Atletico Madrid. Il figlio di Paco il sevillano riconquista la terra degli avi. Come mette piede all’Atletico, proclama: “Garantisco una cosa, saremo i campioni“. Lo prendono per matto, ma l’Atletico con Herrera in panca vince due campionati in fila, strapazzando Real e Barcellona. E’ qui che diventa “il Mago”.
Barcellona è la sua piattaforma verso l’Inter, nella quale Angelo Moratti sta da anni inseguendo l’allenatore in grado di far fruttare degnamente i soldi che investe senza risparmio, ma con scarsissimi ritorni, nella causa nerazzurra. Ci vorrebbe un mago, sospira spesso il Presidente. Lo trova nel vulcanico Herrera che chiede la luna, in senso economico, e viene accontentato. Il nostro calcio risulta sconvolto da questo personaggio che pratica rituali ai confini con la stregoneria, tappezzando lo spogliatoio di scritte quali: “Chi non ha dato tutto non ha dato niente”, “Le cose possibili richiedono tempo, quelle impossibili solo un po’ di più”, “Giocando individualmente giochi per l’avversario, giocando di squadra giochi per te”. E quella che meglio riassume il suo credo: “Il calcio moderno è velocità, gioca veloce, corri veloce, pensa veloce, marca e smarcati velocemente”.
Gli inizi sono tempestosi, ma la sua Inter diventa presto irresistibile. Il Mago non è un tattico raffinato. Non serve, dice. Non apporta correzioni in corsa. Cambia dopo chi ha sbagliato prima, è la sua replica alle critiche. Domina con la sua personalità i mezzi di informazione.
Quello che Mourinho ha appreso studiando, Herrera lo ha messo insieme con le esperienze di vita. Poi ci sarebbe il contributo personale offerto al progresso del calcio. Herrera, sia pure con qualche aiuto, ne inventò uno che prima di lui non c’era. La rapidità, l’essenzialità elette a sistema. La preparazione atletica così perfetta che, in pratica con gli stessi uomini, la sua Inter primeggiava in tre competizioni all’anno, senza mai avvertire il logorio fisico. Mourinho è un tecnico completo che però, sin qui, non ha arricchito il panorama precedente.
Tipi da Inter comunque, l’uno e l’altro. Ovvero, con ben impressa nel proprio dna l’impossibilità di essere normali.
[Adalberto Bortolotti sul Guerin Sportivo]

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